Milano 25 – Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina

La 25esima edizione del FCAAAL si apre all’insegna dell’Expò appena avviata, ma la sua tradizione di attenzione alle molteplici culture è connaturata alla sua istituzione.

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E’ arrivato l’anno dell’Expò e della 25sima edizione del Festival, che pur arricchendo il programma dell’esposizione universale, si presenta come una spina nel fianco di un occidente colpevole dei molteplici drammi che affliggono il continente africano, quello asiatico e i Paesi latino-americani. Se volessimo restare in tema di alimentazione basterebbe citare la definitiva depredazione del patrimonio ambientale marino nel Bangla Desh per l’allevamento del gamberetto tanto amato in occidente o l’altrettanto disastrosa distruzione del patrimonio di foresta tropicale in Indonesia per lasciare posto alla coltivazione della palma da cui estrarre l’olio che diventa alimento per molti preparati destinati al mondo occidentale. Per non parlare del progressivo disboscamento della foresta amazzonica ormai pluridecennale simbolo di un capitalismo insaziabile.
In questo clima, tra l’Expo a celebrare, nonostante tutto, il genio italiano, mettendo per un attimo sotto il tappeto il come si è arrivati a questa esposizione universale, una contestazione violenta e quindi decrebrata che ritiene di scongiurare i danni (veri e reali) con qualche giorno di ferro e fuoco – servirebbe, invece, un lavoro costante e instancabile e non una ulteriore devastazione cittadina fine a se stessa utile a fare il gioco di chi si vorrebbe combattere – si apre questa venticinquesima edizione del FCAAAL. Un quarto di secolo che coincide con un passaggio non secondario per la città che lo ospita con la quale la manifestazione si è sempre saputa confrontare ritrovando una sempre più nutrita folla di affezionati cultori, punto di riferimento essenziale per manifestazioni come questa.
Un personaggio centrale nel largo e composito movimento cinematografico africano sarà il

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presidente della giuria della sezione del concorso. Abderrahmane Sissako regista poco più che cinquantenne, mauritano, che ha firmato capolavori visivi come La vie sur Terre premiato qui a Milano nel 1999 e Aspettando la felicità e oggi candidato all’Oscar per il suo Timbuktu. Un’altra conoscenza del Festival sarà ospite anche quest’anno, Raoul Peck il regista haitiano autore del coinvolgente Sometimes in april e del drammaticamente scespiriano Moloch Tropical e oggi in concorso con il suo nuovo film Meurtre à Pacot, storia familiare ambientata a Port au Prince nel dopo terremoto.
Lo scorso anno abbiamo verificato le difficoltà causate dalla grave recessione economica sul festival, quest’anno le cose non sembrano mutare e se vi è un minimo incremento del numero dei titoli, restano i problemi per una logistica sempre complicata e una visibilità che si deve affermare esclusivamente sulla forza delle opere e l’originalità della manifestazione.

Il festival si aprirà con la proiezione di Taxi Teheran di Jafar Panahi vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino e pronto per la distribuzione in sala ad opera della neonata Cinema di Valerio De Paolis.
Con i suoi dieci film in concorso il festival milanese non sembra proporre un programma dimesso, tenuto conto della durata reale della manifestazione e delle numerose iniziative collaterali, sulla cui validità non abbiamo dubbi, ma qualcuno sulla loro collocazione, ma è materia già trattata e pare inutile soffermarsi oltre. Il Concorso che apre con le sue finestre sul mondo panorami cinematografici a molti sconosciuti, spazia dalla Cambogia al Messico e dall’India al Cile in un girovagare incessante che attribuisce un carattere di necessario

Letters from Al Yarmouk, Rashid Masharawi

Letters from Al Yarmouk, Rashid Masharawi

nomadismo a queste visioni sempre in qualche modo sorprendenti. Tra i titoli in cartellone ritroviamo Letters from Al Yarmouk del Palestinese Rashid Masharawi su un campo di profughi palestinesi in Siria, una ennesima condizione disumana che il cinema riesce a rendere manifesta attraverso la forza sempre dirompente delle immagini.
Restano ferme le altre sezioni del Festival con qualche novità come la Sezione Flash nella quale si prova a raccogliere il meglio rispetto ai consensi ricevuti dall’opera nei festival o dalla critica a cominciare da El ardor dell’argentino Pablo Fendrik storia di vendetta che ha come scenario le grandi piantagioni di tabacco latino-americane, L’oeil du cyclone di Sékou Traoré dal Burkina Faso un complicato caso giudiziario affidato ad una testarda donna avvocato, Still the Water di Naomi Kawase della regista giapponese che non ha bisogno di troppe presentazioni.
Strettamente legata ai temi dell’Expò è la Sezione Films that feed una serie di corto o lungometraggi ispirati ai temi dell’alimentazione e attraverso i quali il festival ha fatto diventare operativo il rapporto di collaborazione con varie realtà culturali o associative della città.
Di particolare interesse è la sezione con la quale si festeggiano i 25 anni del festival, inaugurando la collaborazione con il neonato Museo delle Culture (MUDEC), partenariato quasi naturale tra le due istituzioni. Per la messa in piedi della rassegna Africa Classics la collaborazione si estende alla decisiva partecipazione della World Cinema Foundation di Martin Scorsese che ha provveduto al restauro delle opere proposte. La sezione, come anticipa il titolo, comprende film del passato recente, ma non recentissimo delle

Al Momia, Shadi Abdel Salam

Al Momia, Shadi Abdel Salam

cinematografie del Continente africano, dal senegalese Touki Bouki (1973) di Djibril Diop Mambéty, all’egiziano Al Momia (The Night of the Counting Years) (1969), di Shadi Abdel Salam riconosciuto come uno dei migliori film egiziani di sempre. Ma molte altre sono le sorprese di questa sezione che vedrà le proiezioni nel nuovo auditorium del MUDEC.
Restano fermi gli altri appuntamenti fatti di mostre, incontri pomeridiani e occasioni di dibattito in un clima di collaborazione tra autori e organizzatori che ha fatto sempre bene alle giornate milanesi.
In qualche modo il Festival di Milano riafferma la propria centralità e una tradizione connaturata alla sua nascita per l’attenzione alle molteplici culture del nostro pianeta. In tempi di Expò si gioca facile, ma il passato di questo festival conferma la sua importanza ancora prima dell’Expò e così, si spera, anche per il futuro.

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