Mino Argentieri: scomparso il fondatore di Cinema60

Apprezzato critico cinematografico e sempre alle prese con il suo mestiere anche negli ultimi anni, ci ha lasciato il 22 marzo.

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Scompare all’età di 89 anni lo storico critico Mino Argentieri, tra i primi militanti di un’avanguardia italiana che mirava la formazione criticamente cinematografica ad un percorso di elaborazione culturale.
Appassionato di teatro fin da giovane, per merito principalmente delle opere di Garcia Lorca, il suo primo contributo nell’arte visiva si fece strada proprio da questo connubio di suggestioni che, per Argentieri, veicolavano un messaggio formativo per l’uomo, destandosi in molteplici campi, dalla scena alla poesia. Gli studi condotti per diventare Assistente Sociale, figura che all’epoca prevedeva numerosi interessi pratici di varia natura, lo portò ad avvicinarsi al mondo cinematografico anche attraverso la creazione di un circolo autonomo che, malgrado le incombenze fasciste, si presentava a piccolo cantiere di ricerca e confronto culturale. Il suo impegno nel campo lo porta all’attenzione del quotidiano l’Unità, con cui lavora (inizialmente come vice) a partire dal 1954. Successivamente, nel ’62, scriverà anche per il settimanale Rinascita, collaborazione durata circa venticinque anni.
Il passo più importante della carriera di Argentieri è legato all’iniziativa condotta a partire dal 1960 con la fondazione della rivista ‘Cinema60’, insieme a T. Chiaretti, S. Cilento, L. Quaglietti e G. Vento. L’intento principale era quello di ribaltare gli schemi imposti fin dall’epoca fascista, nella rivalutazione ideale della critica cinematografica impostata su una formazione prevalentemente culturale, di confronto e lontana dai condizionamenti commerciali.  Tra gli ultimi film apprezzati da Argentieri troviamo “Il giovane favoloso” di Mario Martone: “E’ un tipo di cinema per il quale mi sono sempre battuto, che tenti di dare corpo non solo a un mondo poetico ma anche al mondo delle idee”.

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Mino Argentieri si è imposto sulla scena critica con uno sguardo avanguardistico per il panorama italiano, andando oltre le idee politiche ed elitarie di un’epoca improntata ad una fase classista, incarnando lo spirito ‘rivoluzionario’ della cultura sessantottina. Nel suo ideale di un cinema provvisto di diverse sfere artistiche, aperto a valutazioni prevalentemente umane e intellettuali, ha stipulato un patto con la concretezza di un lavoro critico che fosse, realisticamente, pura ricerca di analisi mai fine a se stessa ma, costantemente, mirata al contributo personale e collettivo.

Per me il cinema è sempre legato ad una funzione, che può essere anche intelligentemente didattica o didascalica, ma comunque con un suo contenuto conoscitivo. Attività di esercizio critico che poi, per quanto mi riguarda, è stato sempre al centro del mio interesse. Senza vedere il cinema mai come forma, ma invece con contenuto umano, poetico, ideologico. Questo ha segnato tutta la mia maturazione ed approccio al cinema, che non è stato da cinefilo. Amore per il mezzo  che voleva dire riconoscimento per la forza di questo mezzo che sarebbe stato sempre più importante, nella misura in cui avesse trasmesso, prodotto, provocato, stimolato riflessione, pensiero, emozione non solo di tipo emotivo ma anche intellettuale morale e così via. Quindi una visione ripeto non da fanatico. Tutto questo mi ha portato sempre più a vedere il cinema nel concerto di tutte le espressioni artistiche, Poesia, Teatro, Letteratura e anzi combattere la cinefilia, perché ci ho sempre sentito qualcosa di molto arido, ristretto e snobbistico. Quando la cinefilia si diverte a rivalutare film trash, in fondo non fa che mettere a nudo un aristocraticismo”, ha raccontato a Lamacchinasognante.com

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