Miroirs No. 3, di Christian Petzold

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Dopo Il cielo brucia, ecco la conferma della nuova “leggerezza” della vena creativa di Petzold. Un film piccolo, essenziale, ma di straordinaria densità. CANNES78. Quinzaine des Cinéastes

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Christian Petzold sembra aver ridimensionato le ambizioni e la complessità dello spettro tematico del suo cinema. Miroirs No. 3 è un film “piccolo”, ancor più del precedente Il cielo bruciaUna trama minima, pochi personaggi (quattro, fondamentalmente), ambientazioni ridotte all’essenziale, uno sviluppo narrativo che cresce piano, a partire da un incidente inziale, ma procede dritto, senza spiazzamenti forzati o evoluzioni complicate. Eppure tutto questo processo di ridimensionamento non è certo un difetto o un problema. Anzi… proprio come lasciava presagire Il cielo brucia, la vena creativa di Petzold conferma di aver trovato una “leggerezza” nuova. Che non vuol dire semplificazione o superficialità. Significa riuscire a far emergere la complessità di un vissuto dai dettagli, disegnare con pochi, morbidi tratti le linee di una storia, i suoi presupposti e le sue implicazioni, fino ai mille possibili sviluppi. Significa, soprattutto, trovare una densità emotiva e una profondità di senso nell’essenzialità della forma. Che è il dono degli autori più grandi.

Il film parte da una situazione di inquietudine, da accenti cupi e drammatici. Eppure Petzold sceglie di non dare mai spazio libero alla tragedia. L’incidente d’auto che dà il via a tutta la vicenda è tenuto fuori campo. E il dolore che affligge l’animo dei protagonisti rimane a lungo taciuto. Soprattutto, non capiamo i motivi dello smarrimento di Laura, il suo malessere. È un’ombra dove ogni cosa è una ferita. E che si traduce in un’afasia, un’incapacità di espressione, un blocco che nasce da un grumo interiore inestricabile. Sul volto di Paula Beer sembra disegnarsi la stessa espressione sofferente e inquieta di Undine. E se, procedendo nelle vicende del film, sapremo cosa tormenta Betty, cosa le impedisce di vivere con serenità con suo marito Richard e suo figlio Max, poco scopriremo, invece, della protagonista, quale sia il suo passato, il suo mondo. Quando, a un certo punto, compare il padre, Petzold non concede all’uomo neanche la dignità di un primo piano. Così come è immediata e sostanzialmente indolore la scomparsa del fidanzato “Dovrei soffrire, lo so. Ma non è così. Orami era da tempo che non eravamo più una coppia”.

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Fuoricampo, ellissi, tutte figure dell’invisibile che sembrano suggerire un’atmosfera enigmatica, di mistero. Come lascerebbe intendere anche il titolo del film, Miroirs No. 3, omaggio a Ravel, che rimanda a un gioco di specchi e di doppi, motivo molto spesso al centro del cinema di Petzold. E che qui ritorna nella sovrapposizione di Laura al ricordo di Yelena. Ma è solo una pista momentanea che dilegua ben presto, una proiezione che svanisce nel rifiuto e nell’impossibilità di smarrirsi nell’illusione di questa vertigine. Se c’è qualcosa di enigmatico nel film appartiene alla dimensione favolistica che vuole evocare Petzold. La “strega” che attende le sue vittime sulla porta della sua casa nel bosco. L’incrocio di sguardi, attrazione “fatale”, con la sua vita… Ma anche questa è una suggestione che attende di essere rovesciata di segno.

Perché, come sempre più spesso accade nei film di Petzold, Miroirs No. 3 è essenzialmente il racconto di un ritorno alla vita. Con tutto ciò che questo comporta. La percezione di una nuova luce, di una ventata positiva, che si traduce in momenti di assoluta tenerezza o addirittura di spensierata allegria. Fino a lambire i toni della commedia, come nella scena in cui Laura prepara le polpette di Königsberg. Ma anche i tentennamenti, le incertezze, l’imbarazzo di chi deve imparare a sentire di nuovo. La consapevolezza di essere, comunque, barche sull’oceano e dover far quindi i conti con le onde, i venti, il timore dell’abisso che si spalanca in fondo. Eppure comunque vivere. Ecco, anche se la risoluzione non c’è, in quell’immagine finale che emerge dallo schermo nero, il volto di Laura, con gli occhi fissi davanti a sé, si apre in un sorriso. Come un’illuminazione, la scoperta di qualcosa o qualcuno, che ci aiuti ad andare avanti.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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