Mister Chocolat. Incontro con Roschdy Zem

Uscirà da domani in circa 140 sale il film di Roschdy Zem che mostra in chiave romanzata la vita del clown detto Chocolat, vissuto in Francia nei primi del ‘900.

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Proiettato questa mattina al cinema Barberini di Roma come anteprima ed inaugurazione del Rendez – Vous del cinema francese, il regista Roschdy Zem ha parlato di Mister Chocolat, quarto film da lui diretto, ma il primo ad arrivare in Italia, che vede l’attore Omar Sy nei panni del clown Rafael Padilla, anche detto Chocolat, famoso in Francia nei primi del ‘900 assieme al collega Footit (James Thierrée), ma presto finito nel dimenticatoio. Il film uscirà domani in circa 140 sale.

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Come ha scoperto il vero personaggio di Rafael/Chocolat? Ed è stata una scelta sottolineare non solo i lati positivi di Chocolat, non renderlo un santo? Chiedono i giornalisti a Roschdy Zem. “Il film è nato dall’incontro tra il cinema e uno storico francese, che ha svolto un lavoro di ricerca negli archivi di giornali che parlavano di Chocolat. Per quanto riguarda la sua caratterizzazione, volevo evitare ogni forma di vittimizzazione o eccesso di pathos. E in alcuni momenti del film, come quando giunge alla fama, volevo che il pubblico si scordasse del suo colore della pelle e vedesse il film come una normale parabola di grandezza e decadenza. Avevamo pochi elementi reali su di lui, sapevamo che era stato uno schiavo, sapevamo che mentre era famoso faceva volontariato negli ospedali come clown e che è stato fidanzato con una donna bianca, ma molto altro ce lo siamo inventato per far radicalizzare alcune scelte e prese di coscienza del personaggio, dopo essere stato in carcere, che è una nostra invenzione, il personaggio di Rafael diventa più vendicativo, più militante”.

A quali film si è ispirato, c’è qualcosa de La Venere Nera di Kéchiche nella sua opera? “Vedo moltissimi film, talmente tanti che non riesco ad identificare un’ispirazione unica. Per me un elemento importante di questo film era il rapporto tra il clown Footit e Chocolat, la loro è una storia d’amore, dove c’è un dominatore e un dominato e dove il dominato ha un desiderio di emancipazione. In questo senso il loro rapporto è un’allegoria della Francia dell’epoca: Footit e Chocolat avevano bisogno l’uno dell’altro, ma il conflitto nasceva dal fatto che il primo diceva, voglio amarti a mia immagine, mentre l’altro voleva essere se stesso. Riletto in chiave contemporanea, questo ragionamento è quello che oggi viene imposto agli immigranti, è ciò che noi chiediamo agli stranieri: di adattarsi. Non li accettiamo per quello che sono”.

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Come ha lavorato con Omar Sy, oggi una star in Francia? Ed è vero che in ambito cinematografico c’è poco spazio per le diversità? “La presenza di Omar Sy nel mio film ha sottolineato un paradosso, ossia che essendo costoso, senza un attore famoso come lui non si sarebbe mai fatto. Girando per fortuna ho avuto un ottimo rapporto con lui, sia a livello umano che lavorativo. L’unico momento problematico c’è stato quando Omar doveva recitare la scena finale di Otello, aveva una vera e propria paura per quella scena, non si sentiva all’altezza. Era stata interpretata da mostri sacri e lui sentiva di non averne il diritto. Poi invece è stato bravissimo, volevo che portasse all’Otello qualcosa di più organico, meno intellettuale. Per quanto riguarda le minoranze, le diversità non riguardano solo il colore della pelle, ci sono tante donne attrici che superata una certa età non hanno più ruoli, o solo di un certo tipo. Per minoranze non prese in considerazione nel cinema ci sono quelle etniche, i portatori di handicap e tante altre. Ma il cinema è il riflesso della politica nazionale, composta da un 90% di uomini bianchi di alto ceto sociale. È la politica che dovrebbe dare l’esempio, e poi seguirebbero cinema e televisione”.

 

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