Momenti di gloria, di Hugh Hudson

Film di buona fattura che con la cura di una scenografia sempre accurata e con il grande sfarzo dei costumi, ricostruisce quell’epoca a cavallo tra due guerre devastanti. Domani h 21.10 Rai Storia

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Il cinema – quel poco che di fiction ha realizzato – di Hugh Hudson, è caratterizzato da una particolare solidità, ma da una altrettanta sovrabbondanza narrativa. In altre parole quei film, compreso questo Momenti di gloria, Revolution, Greystoke, tutti particolarmente efficaci sotto il profilo della tensione delle storie, sono però essenzialmente solo delle storie, i cui profili sicuramente edificanti, tratteggiati con cura ed eleganza, con una ottima mano dal punto di vista del ritmo, rinsaldano i buoni sentimenti di fondo di cui sono pervasi. Ma si tratta di emozioni che già ci appartengono che il film, sicuramente, permette di rinverdire, ma senza nessuna scossa, senza offrirci un brivido nuovo. Forse il brivido maggiore è quello di vedere, nei panni del decano del lussuoso college inglese, Lindsay Anderson, decano a sua volta di una generazione che offrì emozioni indimenticabili con il suo cinema sempre controcorrente.
Momenti di gloria è un buon film che racconta le vicende incrociate, in uno scenario post bellico e nel clima delle olimpiadi parigine del 1924, di due atleti inglesi Eric Liddel scozzese dal cuore d’oro, missionario per tradizione e per vocazione e quindi votato a Dio e l’ebreo Harold Abrahams, tormentato e senza patria. Sono entrambi appassionati della corsa, corrono per vincere, ma corrono anche per affermare i propri principi, per risolvere i conflitti delle loro rispettive condizioni. L’occasione è l’olimpiade parigina alla quale parteciperanno da vincenti.
Film, come si dice, onesto, di buona fattura che con la cura di una scenografia sempre accurata e con il grande sfarzo dei costumi, ricostruisce quell’epoca a cavallo tra due guerre devastanti sembrando, non si sa quanto volontariamente,

di volere raccontare una breve epoca felice per l’occidente europeo. Un’epoca in cui si potesse pensare, anziché alla salvezza della vita, allo sport e ad una esistenza possibilmente agiata. Hudson ci propone nel film smoking e velette, manieri e lussuose automobili con autisti in livrea, paesaggi di struggente bellezza, solidarietà cameratesca nell’ideale clima di una Cambridge sempre invidiabile. Un cinema che vuole radicarsi nella descrizione quasi esclusivamente narrativa di un’Inghilterra quasi perfetta tra accenni di melodramma e sfide a viso aperto nelle competizioni secondo i principi decoubertiani delle olimpiadi. Un film che ricostruisce quel clima apparentemente pacificato di quei tempi, ma solo per quelle agiate classi sociali.
Per queste ragioni Momenti di gloria non è solo un film sullo sport, ma come accade spesso, forse non lo è per niente, o, a tutto concedere, lo è incidentalmente. Hudson è interessato ai suoi personaggi e al racconto di un’epoca e lo sport diventa solo la scintilla che innesca il meccanismo.
Il film ottenne riconoscimenti, forse al di là delle proprie ambizioni e sicuramente al di là delle sue reali qualità. Quattro Oscar: miglior film, migliore sceneggiatura originale, migliore musica e migliori costumi per la nostra Milena Canonero, eppure quell’anno, nel 1981, c’era Reds a concorrere, ma Momenti di gloria fu preferito. Forse una parte di questo successo è dovuto alle musiche da Oscar di Vangelis, tanto che il titolo stesso è ricordato più che per la storia, per la musica che, nel ricordo sopravanza il film stesso sostituendolo nell’immaginario collettivo. Accade talvolta e questo è uno di quei casi, diremmo, paradigmatici.
Di certo, lo ribadiamo, il film possiede la qualità di filare via liscio come l’olio, senza sbavature e momenti di stanchezza che per due ore di durata è già un bel risultato, ma, il suo maggiore difetto sta forse in quella prevedibilità che sembra manifestarsi da subito che fa del film sicuramente un approdo sicuro per chi non ama le sorprese, ma come contraltare va detto che non concede molto di più di quanto si prevede e la bella storia diventa una costante di un racconto edificante che dà il meglio di sé in quelle sequenze in cui il gesto sportivo resta al centro della scena. Tutto finisce bene e i due atleti, ovviamente davvero esistenti, sarebbero vissuti ancora, un po’ meno Liddel, fino al 1978 Abrahams. Di lì a poco l’altra guerra che avrebbe spazzato via milioni di vite e distrutto quel clima così composto e speranzoso, così decoubertiano e sinceramente competitivo.

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Titolo originale: Chariots of Fire
Regia: Hugh Hudson
Interpreti: Ben Cross, Ian Charleson, Nigel Havers, Lindsay Anderson, Ian Holm, John Gielgud, Brad Davis
Origine: Regno Unito
Durata: 123’
Genere: drammatico, storico

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