Mònde Fest – Il cinema è cammino, il cammino è cinema

Giunto alla quinta edizione, il piccolo festival pugliese esplora l’amorosa corrispondenza tra cinema e cammino soffermandosi sul tema del ritorno a casa. Con il Gargano silente protagonista

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È un lapsus freudiano a discernere la matassa delle riflessioni fin lì affrontate e a porsi come sintesi e, perché no, come manifesto della prossima edizione di Mònde Fest – Festa del cinema su cammini, svoltosi a Monte Sant’Angelo dal 6 al 9 Ottobre. “Restare via”, la crasi inconsciamente ma felicemente sfuggita all’ottimo moderatore Felice Sblendorio diventa l’unione (im)possibile tra le due alternative poste a Francesco Di Leva a seguito del suo corto MaLaMènti, suo lavoro diretto nel 2017 e proiettato nell’auditorium Peppino Principe: restare qui o andare via? Il sempiterno dilemma della provincia italiana rimbomba potente, come le campane del vicino santuario di San Michele Arcangelo, durante tutto lo svolgimento di questo piccolo ma originale festival. In questo paese del Gargano, un pugno di case bianche abbarbicate sull’aspro promontorio della Puglia ed affacciate su uno dei più bei tratti costieri italiani, il tema di quest’anno è stato particolarmente sentito non solo dalla popolazione locale ma anche dagli ospiti che hanno animato le serate. Perché il “ritorno a casa” è il destino di chiunque scelga di muoversi, fosse anche solo cinematograficamente.

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A spiegare la scelta di questo filo rosso che lega cinema e cammini è stato il direttore artistico di Mònde Fest Luciano Toriello che già nella conferenza stampa di presentazione avvenuta sulla splendida terrazza del Museo Etnografico Tancredi aveva tracciato le coordinate cardine della sua gestione: “Ritornare a casa vuol dire arricchirsi delle esperienze del viaggio che ci permettono di guardare con occhi nuovi i luoghi natii. Con Mònde siamo riusciti a portare a casa, a Monte Sant’Angelo, film che solitamente hanno un percorso diverso di distribuzione cinematografica. Questo rappresenta ricchezza culturale che si somma alla ricchezza della comunità“. Proprio il rapporto con il territorio è la parte più importante di questo festival che, a differenza di altri magari più rinominati, non lo derubrica a passivo sfondo paesaggistico ma ne chiede/pretende la partecipazione attiva. Ecco infatti che stretti in un binomio di assoluto valore e reciproco scambio (anche se per le prossime annate si potrebbe pensare alla preparazione di una guida esclusivamente in ambito cinematografico: da Padre Pio a La divina cometa tornando indietro fino a Non si sevizia un paperino c’è oramai abbastanza materiale), i cammini sono parte integrante e non collaterale di questa Festa di cinema. Le piccole escursioni che si sono svolte al mattino e seguivano percorsi facili “permettono di andare alla scoperta del territorio del Parco Nazionale del Gargano e della sua identità, percorrendo le antiche vie di pellegrini e crociati“, come evidenziato da Biagio de Nittis, vicepresidente di Monte Sant’Angelo Francigena, lo storico sentiero che termina a poca distanza da qui, a Santa Maria di Leuca. Particolarmente apprezzati da registi, attori ed ospiti del festival, escursioni naturalistico-culturali come “La montagna dei due orizzonti” che, seppur assistiti dalle e-bike, prevedeva un percorso che si snodava tra duri massi e spericolate discese fino alla pietrosa Abbazia di Santa Maria di Pulsano, o quella paesaggistica de “I giganti della foresta umbra” che prevedeva una passeggiata nelle vetuste faggete che macchiano di colore l’altrove scabro Gargano, sono state parte essenziali della Festa di Monte Sant’Angelo. Se la mattina erano quindi i corpi a mettersi in viaggio, nel pomeriggio toccava alle menti ripercorrere territori conosciuti ed esplorarne di nuovi. In questo senso la programmazione di Mònde ha cercato di bilanciare le diverse esigenze di un evento prettamente locale che si è trovata a venire a patti col (vorace) turismo religioso del periodo – la coda lunga della festa settembrina del santo patrono ed il fatto di essere al crocevia di sentieri monastici – con il lavoro di ricerca voluto dal direttore Luciano Toriello, regista e documentarista sperimentale che ha provato ad allargare le maglie della visione, e qualche concessione al folklore locale, come il mercatino rionale allestito proprio sopra il teatro dove venivano proiettati i film che specialmente la sera inevitabilmente disturbava la visione. Nel complesso, pur con la mancanza di qualche importante riscoperta e di opere prime, la manifestazione pugliese si è mossa molta bene riuscendo a tessere le fila di un discorso sempre lucido e mai ruffiano, nonostante le tante opere presenti finanziate dalla regione.

È il caso ad esempio del documentario scritto e diretto da Carlos Solito “La Profonda Fantasia. Viaggio dantesco nelle grotte di Puglia” che proponeva un originale commistione tra il tesoro sotterraneo della Puglia, filmato con occhio da speleologo dal giovane regista di Grottaglie, ed il viaggio di Dante nei giorni infernali, descritti spesso come balze apparentabili a quelle presenti in gran numero (“Il Gargano è un groviera roccioso, ci sono duemila grotte“) tra l’altipiano della Murgia e le Gravine del Salento. Vedere dal di dentro quelle sedimentazioni scavate dall’acqua, la cui bellezza scultorea viene paragonata dal voice-off a quella di Michelangelo, trascende ben presto qualunque intento promozionale per diventare una vera e propria mistica del “l’estasi dello stupore“. Sono 24 minuti di belle riprese naturalistiche, con un punto macchina sempre stupefacente e preparato attentamente da chi si definisce “geografo del buio”, e giustamente allargate dall’eterogeneità degli interessi culturali di Solito. Doveroso, nella masterclass “Scrivere con la luce e il suono” tenutasi l’8 Ottobre, il riferimento alla preservazione ambientale di quei luoghi dato che “il 70 percento degli italiani si abbevera da fonti carsiche“. Proprio in questa discussione collettiva, moderata da Luciano Toriello, gli interventi del compositore Carmine Padula e del musicista Federico Scarabino hanno allargato le maglie del tema del ritorno a casa proponendo due plastici e contrapposti esempi di modi di vivere il proprio territorio. Il giovanissimo direttore d’orchestra Carmine Padula, dopo gli studi musicali al Conservatorio di Foggia viene notato dal regista Giacomo Campiotti che gli commissiona la colonna sonora della fiction Rai Ognuno è perfetto e successivamente di Chiara Lubich – L’amore vince tutto e La Sposa. Il suo modo di comporre, che si rifà alla grande tradizione italiana da lui stesso ascritta e compendiata nella figura di Ennio Morricone, prevede che “la creazione cominci già dalla sceneggiatura perché per me la musica non deve essere solo un sottofondo ma deve viaggiare indipendente. Io stesso spesso la porto in tour senza l’ausilio delle immagini“. Inoltre la voglia di andare sui set per ispirarsi e contemporaneamente ispirare la stessa lavorazione del set abbozzando qualche nota che verrà poi ampliata nel lavoro di studio denota la voglia di uscire fuori dal proprio recinto per contaminarsi con altre realtà. Federico Scarabino, musicista ed etnologo, invece sembra fare un percorso speculare con la sua collaborazione con un regista danese per cui ha scritto composizioni sì elettroniche ma con strumenti tipici della tradizione pugliese come la chitarra battente, declinata in mondo straniante e dark. Come se fosse una naturale prosecuzione e diversificazione di questo discorso ecco che l’intervento di Chiara Ronchini, regista del documentario Giovanna, storie di una voce incentrato sulla figura di Giovanna Marini, pioniera della musica popolare, si sofferma sul fatto che in fondo l’archivio, di cui il suo lavoro fa un grandioso recupero andando a rimestare nel tesoro audiovisuale del Movimento operaio, è “prendere qualcosa da una parte, dal suo materiale d’origine, e portarlo da qualche altra parte“. Che non è solo ciò che gli ospiti del Monde hanno testimoniato ma in fondo rappresenta anche l’essenza stessa del cammino e di questa Festa ad esso dedicato. Chi invece ha scelto di non andare mai via nonostante le possibilità – il gustoso aneddoto del rifiuto a poco più di vent’anni della parte da protagonista nella soap-opera “Un posto al sole” a favore di un corso di cinema tenuto da Mario Martone – è Francesco Di Leva che proprio nel cuore di una palestra abbondonata a San Giovanni a Teduccio, quartiere difficile di Napoli, ha fondato Nest, uno spazio per il teatro nel quale poter far nascere e vivere progetti rivolti agli abitanti del quartiere. “Io ero uno scugnizzo che voleva stare al centro dell’attenzione. Primo lo facevo con la forza e con l’arroganza, poi l’ho fatto col teatro” – ha raccontato l’attore nella masterclass del pomeriggio che ha preceduto la proiezione serale di Nostaglia, di Mario Martone. Il suo intervento è stato molto apprezzato perché ha prospettato al pubblico la possibilità di preservare la propria arte mantenendola intatta rispetto magari alle ibridazioni più commerciali e portarla in giro per l’Italia e l’Europa, come le 426 repliche della versione teatrale di Gomorra i cui diritti Saviano ha concesso a Di Leva firmandoli su un pezzo di carta.

Ciò che la quinta edizione di Mònde lascia in dote allora non è solo la visione di opere già acclamate dalla critica come Padre Pio, di Abel Ferrara e Nostalgia, di Mario Martone ma anche quella di opere più piccole come Sul sentiero blu, di Gabriele Vacis. L’impresa di un gruppo di ragazzi autistici che, accompagnati da educatori e medici, percorrono in dieci giorni 200 chilometri sulla via Francigena per infine incontrare il Papa, emoziona a più riprese per la delicatezza con cui i partecipanti vengono filmati – il riottoso Simone che, come un compagno d’escursione pigro che chiunque di noi ha incontrato durante un’escursione di gruppo, ammette di odiare i suoi compagni durante il viaggio perché ottenebrato dalla fatica! – ed è probabilmente la sorpresa migliore del festival perché ne rappresenta in modo peculiare lo spirito. “Noi autistici non ci arrenderemo mai” – grida Chiara, la più sensibile e soggetta a sbalzi d’umore mostrando che nel cammino ciò che conta è la volontà di mettere alla prova la propria tempra di fronte agli inevitabili accidenti che si presentano. Anche Abel Ferrara, nel suo partecipatissimo incontro prima della proiezione, ha raccontato al pubblico la difficoltà di un film la cui preparazione e lavorazione hanno chiesto ben 7 anni. Ma una volta superati gli scogli produttivi, ecco che il regista statunitense nella comunità di Monte Sant’Angelo ha trovato la possibilità di portare il proprio contributo artistico – la parola “poesia” rimbalzava con onesto candore dopo la proiezione tra un pubblico non necessariamente cinefilo – ed allo stesso tempo di farsi adottare dalla popolazione, come dimostrato anche dalla targa con il pennacchio di San Michele, simbolo della città, che gli è stata donata e che Ferrara ha mostrato di gradire fortemente. Anche se la lingua di comunicazione tra queste due realtà era difficile da trovare, come si poteva arguire dalle pochissime mani alzate in platea alla domanda del cineasta su chi capisse l’inglese, ancora una volta sono stati i cammini a rappresentare il sostrato metaforico ideale per trovare qualche correlazione. Quando durante l’escursione in bici organizzata dagli eccezionali componenti di MooVeng c’è capitato di ridere di gusto insieme agli adolescenti della casa di reclusione del comprensorio che ci accompagnavano durante il loro percorso di re-inserimento, a causa dell’imbarazzante difficoltà con cui noi ospiti del festival ci muovevamo sui massi del Gargano, da loro superati invece impennando su una ruota, abbiamo capito che ad unirci non sono stati eventuali affinità o la ricerca di punti di contatto ma il viaggio stesso.

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