Monica e il desiderio, di Ingmar Bergman

Un punto di svolta determinante nel cinema del regista svedese e il desiderio è filmato in tutta l’estasi e la sua brevità. Per Truffaut e Godard ha avuto l’effetto di un terremoto. Su MUBI

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Per Truffaut e Godard è stato un terremoto. Per il primo, il film di Bergman ha incarnato insieme il furto del cinema e insieme il desiderio. Antoine Doinel ruba infatti la foto di Harriet Andersson dalla vetrina di un cinema in I 400 colpi. Lo immaginiamo Truffaut quando ha guardato per la prima volta Monica e il desiderio. L’effetto che gli ha fatto il primo incontro tra Monica e Harry quando la ragazza gli ha chiesto da accendergli la sigaretta. E quello delle calze di nylon. La seduzione e l’erotismo sono tutte in uno sguardo e un movimento e probabilmente saranno presi a modello dal cineasta francese quando ha filmato le sue protagoniste. Godard è rimasto a sua volta ipnotizzato dallo sguardo in macchina di Harriet Andersson mentre sta fumando. “È il primo piano più triste di tutta la storia del cinema” ha affermato. “Quegli straordinari minuti durante i quali Harriet Andersson, prima di tornare nuovamente a letto con il tipo che aveva lasciato, guarda fisso nella cinepresa, i suoi occhi ridenti svelati da sgomento, prendendo lo spettatore a testimone del disprezzo che ha di se stessa per aver scelto involontariamente l’inferno invece del cielo”. Sono state qureste le sue parole nella sua recensione del film su “Arts” pubblicata il 30 luglio 1958. Quello sguardo della Handersson diventerà uno degli elementi fondativi della Nouvelle Vague. Rappresenterà insieme la libertà espressiva e la complicità con lo spettatore. Doinel/Léaud guarda in macchina nel finale di I 400 colpi. Poiccard/Belmondo e Patricia/Seberg lo fanno in Fino all’ultimo respiro. Si, c’è il fantasma del film di Bergman. Senza Monica e il desiderio, forse anche i loro lungometraggi d’esordio avrebbero avuto qualcosa di diverso.

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Monica e Harry si conoscono in un caffé. Lei vive in una famiglia numerosa dove il padre è spesso ubriaco. Lui è orfano di madre e abita con il padre ammalato. Iniziano a frequentarsi, si innamorano, lasciano la città e vanno a vivere su un’ isola dove lei resta incinta. Finita l’estate, sfiorisce anche la loro passione.

In Monica e il desiderio c’è tutto il cinema del primo Bergman: i conflitti familiari (Crisi), il disagio giovanile (Musica nelle tenebre) e chiude quella trilogia sull’intermittenza sentimentale iniziata con Un’estate d’amore e proseguita con Donne in attesa. Al tempo stesso però rappresenta il film della svolta. Si iniziano infatti ad affacciare quelle ombre di morte – che non è altro che l’altro volto della vita – nella sua opera. Si vedono sul volto di Harriet Andersson, reincarnazione di una strana divinità. Sprigiona sensualità, vitalità, tristezza. Tutti insieme. Si spoglia nella barca, si commuove al cinema a vedere Amore infinito, urla disperata. Ogni volta che entra nell’inquadratura quell’immagine non è più la stessa. Trasforma tutto: il paesaggio, lo sfondo, il personaggio con cui interagisce e anche la stessa Monica che sorride, seduce, piange, abbandona.

Godard aveva definito Bergman come “il cineasta dell’istante”. E il film è pieno di tanti istanti decisivi. Il desiderio è filmato in tutta l’estasi e la sua brevità. L’amore tra Monica e Harry dura il tempo di un’estate. L’amore è raccontato come se fosse già un ricordo. Ne restano però delle tracce indelebili come nella scena del ballo sul molo abbandonato. In Monica e il desiderio c’è la tensione limpida e il senso di fine imminente del cinema di Jean Vigo. Si avverte tutta la forza di un cinema en plein-air: il temporale, il fiume, i riflessi sull’acqua, le nuvole. Un continuo incanto, frammenti idilliaci che combaciano con un sogno brevissimo e indimenticabile e che si alternano con le prigioni domestiche e sociali dei due prtagonisti. La rappresentazione dell’ambiente di lavoro di Harry e il modo in cui si licenzia hanno l’impeto del cinema operaio. È proprio nel suo scarto tra determinismo (una vita segnata dal destino) e desiderio di fuga che si alimenta un cinema che sa raccontare come pochi che cos’è la felicità e quanto dura.

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Titolo originale: Sommaren med Monika
Regia: Ingmar Bergman
Interpreti: Harriet Andersson, Lars Ekborg, John Harryson, Georg Skarstedt, Dagmar Ebbesen, Åke Fridell, Naemi Briese
Durata: 96′
Origine: Svezia, 1953

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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