Moonfall, di Roland Emmerich

Il nuovo film del regista che torna sulla Luna per ragionare sulle nuove frontiere tecnologiche, creando chiusura ma ambendo alla libertà

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Dopo Midway, Emmerich aumenta il tiro. Ritorna alla fantascienza infarcendo, come al solito, il suo cinema di esplosioni e caos con l’obiettivo di fagocitare lo spettatore seduto sulla poltroncina. Il cineasta è conosciuto per essere il regista dei disaster movies. Il suo è un cinema che alla base prevede ci sia a priori un distacco netto con la realtà e un estremo patto di fiducia tra regista e spettatore. Potremmo dire che l’approccio che vorrebbe avere il regista è da cinema delle attrazioni. Un cinema dove non è così importante la narrazione. Quello che interessa è il muro in caduta libera, il treno dei Lumière o i trucchi magici di George Méliès. Si propongono nuovi mondi, nuovi modi di vedere le ballerine danzanti come in Entr’acte di René Clair. Nel contemporaneo forse sono proprio le evoluzioni di registi come Nolan, Villeneuve, Bay e appunto Emmerich a riportare in sala quella voglia di sospensione dalla realtà che permette, a volte, di iniziare un viaggio all’interno di nuovi mondi fantastici. Come fosse il treno dei Lumière, Moonfall vuole colpirci e trasportarci fuori il fotogramma in un viaggio che attraversa gli strati della realtà per conficcarsi dentro l’occhio della Luna. Una Luna che ci è sempre sembrata amica, ma Emmerich ci racconta altro.

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In Moonfall una forza misteriosa sta sbalzando il satellite fuori dalla propria orbita per farla entrare in rotta di collisione con la Terra. Forse c’è qualcuno dietro, forse la Luna è qualcosa che in realtà non abbiamo mai conosciuto. Spetterà agli ex astronauti NASA Jocinda Jo Fowler e Brian Harper, insieme al complottista K.C. Houseman, informare e ottenere credibilità da parte di tutti quelli che sottovalutano il pericolo.

Ed il problema in assoluto di Moonfall è proprio quello, la ricerca costante di credibilità e apertura chiudendo il tutto in un sistema controllato. La scrittura è quadrata, secca, propone scenari già conosciuti che fanno perdere interesse e incartano un film che aveva bisogno di libertà per i suoi personaggi. Certe volte basterebbe lasciar cadere il muro, scrivere automaticamente sul quadro la propria visione. Esplodere con un’onda di detriti come un Pollock che colora e invade la tela dove si è persa Sandra Bullock (Gravity). Emmerich fa tutto il contrario. Siamo in un momento storico, dove la ricerca di una nuova frontiera, di un nuovo spazio abitabile, è diventata costante e forse anche fondamentale. Questo ha avuto delle ripercussioni anche in un sistema dove la tecnologia sempre più intelligente e indipendente che ha permesso la creazione di nuove frontiere. Le intuizioni sembrano interessanti, soprattutto nel momento in cui Emmerich mette a contatto i due diversi concetti di spazio, conquistato e da conquistare. Per un attimo lascia viaggiare il racconto tra interattività, indipendenza tecnologica e macchine che prendono il controllo, ma tutto si perde nel già visto e nel poco approfondito. Rimangono unicamente tracce che settano. Margini, e quindi anche limiti, di un universo aperto e ancora da scoprire che però viene chiuso e soffocato. Emmerich ha già dichiarato come siano pronti altri due capitoli nel caso i risultati al botteghino siano positivi. La prospettiva terrorizza ancor più di una nuova Luna radente il suolo terrestre. Forse non si può parlare di libertà continuando a ragionare su sistemi chiusi e sull’economia di un prodotto.

Titolo originale: id.
Regia: Roland Emmerich
Interpreti: Halle Berry, Patrick Wilson, John Bradley, Michael Peña, Charlie Plummer, Kelly Yu, Donald Sutherland
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 130′
Origine: USA, UK, Canada, Cina 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
Sending
Il voto dei lettori
2.5 (24 voti)
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