MOVIEGAMES – Indy, Lara e Rick

Da Indiana Jones a Rick O’Connell de “La Mummia” passando per Lara Croft: breve storia dell’archeologia avventurosa tra cinema e videogames

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Tutto iniziò nel 1981 quando dal talento riunito di George Lucas e Steven Spielberg nacque Indiana Jones, archeologo e avventuriero che riuscì a rinverdire i fasti del genere avventuroso “puro” che ormai sembrava spacciato. Il mix di avventura, romanticismo, magia, ironia oltre al confronto con dei cattivi “istituzionali” come i nazisti fecero de “I predatori dell’arca perduta” un successo seguito da altri due episodi oltre a vari “cloni”, ultimi tra i quali i due episodi de “La mummia”. Ma la vita di Indiana Jones non si è esaurita sul grande schermo. Per non parlare della serie televisiva sulle sue peripezie adolescenziali, ai libri per ragazzi ad esse ispirate, a tutto il vario merchandise, ci limiteremo ai videogiochi. Il più famoso dei quali è sicuramente “Indiana Jones and the Fate of Atlantis”. Prodotto da LucasArts nel 1992, si tratta di un’avventura che sfrutta l’interfaccia grafica che, a partire da “Maniac Mansion”, ha reso leggendari tutti i giochi di questo tipo della società videoludica di George Lucas. Trattandosi di un’avventura punta-e-clicca bidimensionale, la parte avventurosa è più che altro affidata alla trama (la ricerca, appunto, delle vestigia di Atlantide) estremamente avvincente e bene elaborata e il gioco si fa forza invece sull’utilizzo accurato ed irresistibile dell’ironia, attraverso non solo le situazioni, ma soprattutto per i commenti ironici ed autoironici del protagonista.

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Nel 1995 alla Core Design di Derby si studia la possibilità di un gioco di nuova impostazione, che unisca esplorazione, azione ed enigmi. Grazie all’apporto del disegnatore Toby Gard a cui si deve l’idea di utilizzare un personaggio femminile come protagonista, nel novembre del 1996 debutta “Tomb Raider”. Già nel titolo è evidente il riferimento alle avventure di Indiana Jones. Ma qui non abbiamo più l’ironia, marchio inconfondibile dell’eroe di Lucas/Spielberg: nel gioco è relativamente ridotta anche la componente avventurosa (in senso videoludico: la necessità di risolvere enigmi per avanzare nella vicenda) e la preminenza viene data alla teoria di corse, salti, piroette, acrobazie che il giocatore – tramite Lara – deve effettuare per evitare trappole/nemici. A voler ben vedere “Tomb Raider” è sostanzialmente un platform tridimensionale con storie ispirate all’archeologia avventurosa del dottor Jones. Dunque il vero colpo di genio è proprio quello di Gard: l’ideazione di un personaggio femminile che, grazie anche ad un ottimo lavoro di pubbliche relazioni realizzato dal distributore internazionale Eidos, si impone prima di tutto nell’immaginario adolescenziale, target principale dei videogiochi, e progressivamente dilaga attraverso i mass media. Infatti i cinque giochi dedicati a Lara Croft (“Tomb Raider”, 1996; “Tomb Raider II”, 1997; “Tomb Raider III”, 1998; “Tomb Raider: L’ultima rivelazione”, 1999; “Tomb Raider: Chronicles”, 2000), più alcuni add-on con missioni aggiuntive, da soli non giustificano il successo del titolo nell’immaginario collettivo. Non lo giustifica il gameplay, come si è detto non così innovativo. Non lo giustifica la grafica, buona e continuamente rinnovata, e tuttavia non certo lo stato dell’arte. Tanto più che, se alle conferenze stampa di presentazione dei titoli ne vengono sempre sottolineate la novità e le implementazioni, ai party che seguono, magari dopo qualche bicchiere, si ammette che non si deve toccare la gallina dalle uova d’oro con modifiche sostanziali e potenzialmente rischiose dal punto di vista economico. Solo dopo che sempre più voci si sono alzate per lamentare l’eccessivo effetto fotocopia dei seguiti, con il quarto episodio Lara sembra, alla fine, morire, ed il quinto episodio è solo una sorta di commemorazione da parte delle persone che la conoscono della sua vita. Il vero elemento catalizzatore dell’attenzione è Lara, con i suoi seni esuberanti su un corpo altrimenti asciutto e muscoloso, la maniera originale – acrobatica ma mai disgiunto da una certa grazia – in cui si muove, il suo aggiornare uno stereotipo tipicamente maschile – l’avventuriero – aggiornandolo ai ragazzini degli anni ’90: shorts, anfibi e zainetto sulle spalle. Lara è insomma un’icona perfetta in cui identificarsi. Non a caso in questo periodo sempre più chi si diletta in grafica digitale propone le proprie interpretazioni dell’eroina: fenomeno amatoriale che affianca e giustifica tutto il clamore con cui i media le rendono omaggio. E’ infatti il primo personaggio digitale di videogiochi ad apparire sulla copertina di importanti magazine come “The Face”, ed a lei sono stati dedicati calendari, libri (come “Lara’s Book” di Douglas Coupland), lei è stata usata come testimonial pubblicitario, lei è apparsa nei video musicali di artisti pop internazionali come durante il PopMart Tour degli U2, ecc.Tale successo ha fatto sì che il buon vecchio Indy si riducesse a scopiazzarne le evoluzioni nel suo ultimo gioco “Indiana Jones e la macchina infernale” (1999), con un risultato ambiguo: se il gioco è divertente, la trama ben realizzata e la grafica ottima, il nuovo formato di gioco, il cosiddetto action/adventure “inventato” da “Tomb Raider” ha sicuramente dinamicizzato il gameplay ma ha causato la perdita di uno degli elementi essenziali: l’ironia. Niente più battutine salaci, niente più divertente autocommiserazione: Indy si trasforma nell’avventuriero tutto d’un pezzo che compie evoluzioni con la sua frusta e spara non più ai crudeli nazisti, ma stavolta ai russi comunisti. Arriviamo infine all’oggi. Da una parte abbiamo l’arrivo nelle sale cinematografiche di “Tomb Raider” il film, dall’altro quello sulle nostre PS2 di “The Mummy Returns”, videogioco (distribuito in Italia da Leader completamente localizzato in italiano) ispirato all’omonima pellicola. Chi ha visto il film avrà forse notato che si trattava già di un videogioco in formato cinematografico: i combattimenti, le corse, la ricerca degli indizi, il combattimento finale contro il super-boss si inseriscono perfettamente nel canovaccio di un videogioco. La trama ispirata ad “Indiana Jones e il tempio maledetto” nel suo utilizzare un bambino come motore dell’azione per la coppia di avventurieri archeologi lega a sua volta il film ancora di più a questo modello. Non a caso allora “The Mummy Returns” è un action-adventure che se ha dalla sua parte una buona realizzazione grafica, una discreta fedeltà di fondo alla trama cinematografica, e la possibilità di utilizzare due protagonisti (Rick O’Connell e Imothep) ognuno con proprie caratteristiche e con un percorso differente di gioco, tutto sommato non offre nulla di veramente nuovo. Questo perché Rick O’Connell è all’origine troppo legato al modello di Indy (più interessante dunque giocare impersonando Imothep e succhiando anime per recuperare le forze) e non riesce a ritagliarsi un suo vero spazio come invece era riuscita a fare Lara Croft. Ed è proprio questo il grosso rischio della Lara Croft cinematografica: se nel mondo videoludico era riuscita a ritagliarsi uno spazio proprio in virtù dell’assenza di figure femminili significative, potrà fare altrettanto anche a livello cinematografico in cui di analoghe figure ce ne sono a bizzeffe? Potrà un personaggio le cui avventure sono tutte una salta-corri-spara avere credibilità in un medium in cui occorre avere non solo uno straccio di trama e dei buoni effetti speciali, ma anche un minimo di credibilità psicologica?Niente paura. Che il film sia bello o brutto, già un altro episodio del gioco è in preparazione. Si intitolerà “Tomb Raider: Next Generation” e uscirà l’anno prossimo, probabilmente in autunno/inverno. Le notizie sono di un completo restyling sia del personaggio sia della struttura di gioco per venire incontro ad un pubblico che sempre più si sta allargando e affinando nel contempo anche i propri i gusti. In più Lara Croft non è più l’unica eroina e, da “Resident Evil” a “Druuna” altre protagoniste appassionano i videogiocatori. Ma forse occorre non correre troppo con l’entusiasmo e ricordarsi di come ragionano i produttori: la gallina dalle uova d’oro…

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