Music, di Angela Schanelec

Una rilettura del mito di Edipo dagli anni ’80 ai giorni nostri più rigida che austera, un’altra tappa coerente di un cinema che non si concede. Bisogna scegliere da che parte stare. Concorso.

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I segni del caso e del destino attraversano il cinema di Angela Schanelec. Tra la vita e la morte, il tempo che scorre, le tracce del passato della felicità perduta che si dissolvono resta sospeso anche Music, il nuovo lungometraggio della cineasta tedesca presentato in competizione. Caratterizzato da una struttura ellittica, il film rilegge il mito di Edipo ed è ambientato dall’inizio degli anni ’80 ai giorni nostri che mette poi a fuoco alcuni anni come, per esempio, il 2006 e la vittoria in semifinale del’Italia contro la Germania ai Campionati del mondo di calcio.

Una notte un neonato viene salvato da una tempesta. Viene accolto da un medico e sua moglie che lo chiamano Jon. Anni più tardi, da giovane, commette un omicidio e viene arrestato. In carcere conosce una guardia, Iro, con cui costruisce una famiglia. Ma altri eventi caratterizzeranno il corso della sua vita.

Comincia nelle montagne e nelle spiagge della Grecia e poi si sposta a Berlino e segue il fluire dello scorrere degli anni proprio come in quel movimento orizzontale dell’inquadratura finale interrotto da improvvise e violente fratture. Contemplativo e concettuale, anche Music è l’esempio di un cinema che va ‘al di là della vita’ di cui restano i gesti, le espressioni intrappolate in inquadrature fisse, eredità di una messinscena teatrale che fa parte della formazione della cineasta che ha lavorato al Thalia Theater di Amburgo e al Schaubühne di Berlino.

All’inizio ci sono pochissimi dialoghi. E nel corso del film prevalgono comunque azioni sul punto di compiersi o già finite: i piedi sulla scogliera, un uomo d’affari deceduto per strada. E su queste potrebbero scorrere in parallelo pensieri e riflessioni di chi assiste alla scena come i piani fissi sulle persone che stanno guardando o hanno appena assistito a quello che è accaduto. L’intento è quello di un cinema di ricerca, di derivazione bressoniana. La famiglia diventa un luogo di perdite e ritrovamenti, proprio come nel caso della vedova che ritrova il figlio scappato di casa in I Was at Home, But (con cui la regista ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia alla Berlinale del 2019), ma anche in Music il rapporto continuo è quello tra la dimensione individuale e quella universale. La traccia musicale diventa la dimensione parallela tra i brani cantati da Jon e le musiche, tra gli altri, di Monteverdi, Bach e Pergolesi.

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Più rigido che austero nei suoi ‘formali’ piani-sequenza, Music è un’altra tappa coerente di un cinema che non si concede, forse il tentativo di un film opera-mitologico che va non solo interpretato ma coniugato con le conoscenze teatrali, cinematografiche, letterarie, della cineasta. C’è chi può seguirla affascinato nel suo percorso facendosi guidare da lei, chi ne può restare inizialmente sedotto e poi abbandonarla, chi può rifiutarla del tutto. Noi ci poniamo a metà strada.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
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