Music in the Wind: ci lascia Alan Parker

Ci ha lasciato ieri a 76 anni il regista di Fuga di mezzanotte e Mississippi Burning. Forse troppo celebrato prima e dimenticato dopo, ha comunque lasciato tracce decisive nell’immaginario anni ’80.

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A metà degli anni ’80 tra i 15 e i 16 anni, quando ho iniziato ad andare al cinema e a vedere i film con continuità, Alan Parker era tra i miei cinque registi fondamentali. Aveva realizzato almeno tre grandi film: Fuga di mezzanotte (1978), Saranno famosi (1980) e Birdy. Le ali della libertà (1984). Con le vhs rivedevo spesso la scena dell’aeroporto in Fuga di mezzanotte dove Billy Hayes (il film è tratto dalla sua storia vera) cercava di superare i controlli. Si vedeva il sudore sulla fronte e si sentiva il cuore che batteva. E poi il gran finale: l’improvviso spiraglio di luce dopo che il buio era la tonalità dominante e la camminata durante l’evasione dal carcere con la divisa della guardia sulle musiche di Giorgio Moroder. Restavo poi contagiato dal ritmo di Saranno famosi e dai sogni degli studenti della High School of Performing Art di New York. La colonna sonora e la canzone Fame hanno poi vinto l’Oscar. Il film ha dato poi origine ha una fortunata serie televisiva andata in onda sulla rete NBC dal 1982 al 1987 per sei stagioni. E molti di quei protagonisti hanno segnato indelebilmente sia il film che la serie dal ballerino Leroy Johnson al musicista Bruno Martelli alla ballerina Coco Hernandez che nel film era interpretata da Irene Cara e nella serie da Erica Gimpel. Infine l’isolamento di Birdy nell’ospedale psichiatrico in Birdy. Le ali della libertà in un film che parlava di amicizia, di Vietnam con le musiche dui Peter Gabriel e segnato dalla bravura dei due protagonisti, Matthew Modine e Nicolas Cage, quest’ultimo in una delle migliori interpretazioni di tutta la sua carriera.

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Quasi 35 anni dopo qualcosa è cambiato. Fuga di mezzanotte continua ad essere un grande film, Saranno famosi resta soprattutto legato a quegli anni mentre Birdy è stato un po’ sopravvalutato. Questi tre film però permettono di iniziare a disegnare l’identikit di Alan Parker, il regista, sceneggiatore e produttore inglese scomparso ieri a 76 anni dopo una lunga malattia. Innanzitutto da un punto di vista visivo è uno dei cineasti inglesi in cui è più riconoscibile l’impronta videoclip assieme a Ridley Scott e Adrian Lyne. La storia, le immagini, la musica, diventano una cosa sola. Poi l’impeto Fuga di mezzanotte scritto da Oliver Stone (che ha vinto l’Oscar per la sceneggiatura) teso a creare l’identificazione tra protagonista e spettatore caratterizza quel cinema di impegno civile che ha attraversato la sua filmografia: la condizione della carceri di questo film è mostrata con un trasporto simile al razzismo nel Mississippi del 1964 in Mississippi Burning – Le radici dell’odio (1988) in cui la legge e la giustizia non vanno di pari passo come dimostra l’agente dell’Fbi interpretato da Gene Hackman e alla riflessione sui meccanismi della pena capitale di The Life of David Gale (2003), uno dei suoi film più deboli.

Poi c’è la musica, altra grande passione. Oltre alle colonne sonore che segnano spesso i suoi film, c’è la dimensione onirica del film-rock Pink Floyd – The Wall (1982) sulla crisi di una rockstar (interpretata da Bob Geldof) in cui entra in gioco uno sperimentale surrealismo attraverso la combinazione con le sequenze animate che si alternano con quelle dal vero e le fiammeggianti forme tra musical e melodramma di Evita (1996), ispirato all’opera teatrale di Tim Rice ed Andrew Lloyd Webber del 1978, forse il suo titolo più ingiustamente stroncato e sorprendente, magicamente fuori tempo, con una straordinaria Madonna nei panni di Eva Perón. E poi c’è quello che con Fuga di mezzanotte è il suo film più bello, The Commitments (1991), liberamente tratto dal romanzo di Roddy Doyle, sulla formazione, successo e rottura di una band di musical soul a Dublino che è unio spaccato generazionale diretto e totalmente coinvolgente in cui Parker stavolta non cerca di portare lo spettatore dentro la storia ma si lascia trascinare lui stesso da ciò che sta filmando e raccontando.

Evita mette in gioco un altro aspetto del cinema di Alan Parker che è quella del sognatore. In questo caso combacia con quello della protagonista. Don’t Cry for Me Argentina è la fine ma anche l'(im)possibile illusione di prolungarlo. Può essere anche quello dei protagonisti di Birdy di trovarsi da un altra parte o in un altro tempo, forse quello della loro infanzia. Ma anche quello della passione tra il sindacalista statunitense e la ragazza giapponese dello sbiadito e poco ispirato Benvenuti in Paradiso (1990). O quello onirico di Angel Heart – Ascensore per l’inferno (1987) forse un film che è un unico grande sonno in cui l’indagine del tenente privato Mickey Rourke si trasforma in incubo da cui è impossibile uscire e in cui si materializza il Diavolo attraverso la figura di Robert De Niro.

Non aveva mezze misure il cinema di Alan Parker. Poteva riuscire a trovare subito l’intimità come con la banda di ragazzini del suo primo lungometraggio, Piccoli gangster (1976), incrocio tra musical e gangster-movie. Oppure non trovava mai la necessaria sintonia come nel caso della famiglia McCourt e soprattutto della protagonista in Le ceneri di Angela (1999) in cui la ricostruzione d’epoca soffoca completamente l’esibito respiro tragico. Ci sono state poi imbarazzanti cadute come nella grottesca satira Morti di salute (1994) con Anthony Hopkins con i dentoni nei panni del dottor Kellog, l’inventore dei fiocchi d’avena. E dei film invece che migliorano nel tempo, come Spara alla luna (1982), in cui la presunta freddezza con cui è mostrata la crisi coniugale della coppia formata da Albert Finney e Diane Keaton è il punto di forza di una dolente radiografia in un cinema che parla del tempo che passa e della fine dei sentimenti senza che ce ne accorgiamo.

Due volte in nomination agli Oscar (per Fuga di mezzanotte e Mississippi Burning), gran premio della giuria a Cannes per Birdy, forse troppo celebrato prima, forse troppo dimenticato dopo, Alan Parker ha comunque caratterizzato in modo consistente soprattutto un certo cinema degli anni ’80. E ha dimostrato, quando c’è l’ispirazione giusta, che con il cinema si può ballare. Con la musica nel vento.

 

La nostra top 5

Fuga di mezzanotte (1978)

 

The Commitments (1991)

 

Mississippi Burning – La radici dell’odio (1988)

Saranno famosi (1980)

Evita (1995)

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