My Generation. Rock e controcultura nel cinema di Peter Whitehead

Il Museo Nazionale del Cinema presenta dal 18 al 23 giugno 2008 al Cinema Massimo la retrospettiva dedicata al regista inglese 

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Al Museo Nazionale del Cinema
un omaggio a Peter Whitehead
 
Cinema Massimo, 18-23 giugno 2008
 
 
Il Museo Nazionale del Cinema presenta dal 18 al 23 giugno 2008 al Cinema Massimo la retrospettiva My Generation. Rock e controcultura nel cinema di Peter Whitehead, un omaggio al regista che con il suo cinema documentario si è immerso completamente ad osservare e documentare i cambiamenti sociali del suo tempo: la musica e la cultura underground degli anni ’60, i movimenti politici del ’68, la Beat Generation.
 
La rassegna My Generation. Rock e controcultura nel cinema di Peter Whitehead è un progetto del Bellaria Film Festival in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema.  
 
I film di Peter Whitehead rappresentano una straordinario sguardo nel mondo del movimento e della controcultura dei tardi anni Sessanta a Londra e New York. Nato a Liverpool nel 1937, Peter Lorrimer Whitehead studia fisica e cristallografia alla Cambridge University dove lavora con Francio Crick, uno dei due scopritori del DNA, conosce il futuro poeta inglese Ted Hughes (il quale più tardi gli dedicò la poesia The Risen), e Syd Barret e recita in teatro con Ian McKellan e Peter Cook. Ottiene una borsa di studio alla State School of Art in pittura, ma preferisce il cinema sotto la guida di Thorold Dickinson.
Nel 1964 è cineoperatore per i newsreel della Rai. Lo stesso anno la Nuffield Foundation gli commissiona un documentario scientifico, The Perception of Life. Nel 1965 realizza il film che diede realmente vita alla sua carriera di filmmaker, Wholly Communion, girato durante il primo International Poetry Meeting al Royal Albert Hall di Londra al quale parteciparono i principali poeti beat. Grazie a questo film, il manager dei Rolling Stones, Andrei Loog Oldham, gli chiede di fare un documentario sulla tournée irlandese della band: Charlie is My Darling. Del 1967 sono Tonite let’s All Make Love, la quintessenza della scena musicale londinese fine anni Sessanta, e Benefit of the Doubt in cui cineasta inglese riprende la produzione della pièce US da parte della Royal Shakespeare Company. E ancora, i primi videoclip della storia, girati da Whitehead per la televisione britannica i cui protagonisti sono Nico, Jimi Hendrix, The Dubliners, Eric Burdon & The New Animals, Jimmy James & The Vagabonds, The Shadows. Da queste basi, derivano Pink Floyd London '66-'67 e The Beach Boys in London.
Nel settembre 1967, partecipa al New York Film Festival con Benefit of the Doubt. Risalgono ai quei giorni le prime riprese del suo lavoro successivo, The Fall, film molto travagliato in cui il filmmaker mostra il collasso di quella parte di protesta americana, legale e pacifica che avvenne con l’assassinio di Martin Luther King e l’occupazione della Columbyia University. Il film è terminato nel 1969. L’anno successivo, di nuovo in Inghilterra, Whitehead ritorna alla musica con Led Zeppelin: Life at the Royal Albert Hall, mentre Daddy, con e sulla scultrice francese Niki de Saint Phalle, è del 1972. Suo ultimo film è Fire in the Water con Natalie Delon. Infatti, poco dopo averne terminato il montaggio, decide di abbandonare la carriera cinematografica e trascorre dieci anni tra Afghanistan, Pakistan, Alaska, Marocco, Algeria, Iran finché costruisce in Arabia Saudita il più grande allevamento di falchi privato, Al Faisal Falcon Center, che vide una brusca fine durante la Guerra del Golfo. Dal 1987 cresce la sua passione per la letteratura: ai giù noti diari, si uniscono numerosi racconti e romanzi, tra cui Nora and… Tonite Let’s All Make Love in London e The Risen.
L’eclettismo di Whitehead non finisce qui, dato che nel corso degli anni, non è stato solo regista e scrittore, ma anche traduttore della sceneggiatura di Alphaville di Godard, editore e precursore della cultura cyberpunk.
 
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Museo Nazionale del Cinema – Resp. Ufficio Stampa: Veronica Geraci
tel. 011 8138509-10 – cell. 335 1341195 – email: geraci@museocinema.it

 

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PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI
 
 
My Generation. Rock e controcultura nel cinema di Peter Whitehead
Cinema Massimo, 18-23 giugno 2008
 
 
 
Peter Whitehead
Wholly Communion
Gran Bretagna 1965, 33’, b/n, v.o. sott.it.
Wholly Communion è il documentario che diede il via alla carriera cinematografica di Whitehead. L’opportunità del film risale a un reading di Ginsberg in una libreria londinese a cui Whitehead partecipò e decise di proporsi volontariamente per lo storico evento al Royal Albert Hall dell’11 giugno 1965. La settimana dopo, fattosi prestare 90 sterline, si ritrovò in piedi, in mezzo a settemila persone, ascoltando Gregory Corso, Harry Fainlight, Lawrence Ferlinghetti, Alexandre Trocchi, Allen Ginsberg e molti altri mentre cercava di filmare con una cinepresa di cui non conosceva il funzionamento. Il risultato furono trentatrè minuti di film che documentano l’evento che diede origine alla controcultura britannica. “Si trattava prima di tutto di partecipazione. Del mio essere lì. Ho dovuto filmare in quel modo, perché non avevo altra scelta. La sequenza di Gregory Corso, tra le due teste di due persone che stanno parlando, l’ho girata così perché Ginsberg mi aveva preso per le spalle e buttato a terra. Era l’unica posizione da cui ho potuto filmare” (P. Whitehead).
Fot.: P. Whitehead; Int.: Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Alexander Trocchi, Gregory Corso, Adrian Mitchell, Harry Fainlight, Christopher Logue, Erns Jandl.
MER 18, h. 16.30, VEN 20, h. 22.45
 
Peter Whitehead
Charlie is My Darling: the Rare Rolling Stones on Tour
Gran Bretagna 1966, 54’, b/n e col., v.o. sott. it.
Dopo aver visto Wholly Communion, il manager dei Rolling Stones, Andrei Loog Oldham, chiese a Whitehead di fare, con duemila sterline, un documentario sulla tournée irlandese della band. Questo leggendario film, girato in due giorni, tra Dublino e Belfast, con una sola cinepresa, non è mai stato distribuito. All’anteprima mondiale durante il Mannheim Film Festival del 1966, l’allora direttore Joseph von Sternberg disse: “Quando tutti gli altri film passati in questo festival saranno dimenticati, questa pellicola verrà ancora guardata come documento unico dei nostri tempi”. “Quello che mi affascina del film è il fatto che quando gli Stones parlano, le loro frasi sono praticamente inarticolate, sembrava che brancolassero nel buio. Una straordinaria incapacità di descrivere quello che stavano facendo. Brian Jones era l’unico che riusciva ad articolare un discorso. E poi, c’era questa incredibile trasformazione nel momento in cui uscivano dai camerini e salivano sul palco. Improvvisamente erano lì, presenti ed esplosivi (P. Whitehead).
Fot.: P. Whitehead; Int.: Mick Jagger, Keith Richard, Brian Jones, Bill Wyman, Charlie Watts.
MER 18, h. 17.05, VEN 20, h. 23.20
 
Peter Whitehead
Rock and Pop Films
Gran Bretagna 1965-69, 70’, b/n e col., v.o. sott.it.
Sorprese e gemme dell’immenso archivio di Whitehead, che includono registrazioni live e in studio di Jimi Hendrix, Nico, The Rolling Stones, con il primo footage dei Pink Floyd con Syd Barret. Molte clip fanno parte del programma della televisione britannica “Top of the Pop”, precursori del moderno videoclip musicale. Completamente lowbudget, a differenza di oggi, in questi brevi lavori si respira la stessa aria di cinema diretto che caratterizza i rockumentary più lunghi e strutturati di Whitehead, riprendendo band come Small Faces che vagano per le strade di Londra, Jimi Handrix sospeso nel backstage, gli Stones in studio di registrazione. In altri invece prevale l’elemento fantastico, onirico che caratterizzerà maggiormente i suoi film successivi: Eric Burden che canta When I Was Young mentre scorrono immagini di bombardieri prese dalla televisive, o The Shadow nel deserto che inseguono una ragazza vestita da odalisca.
Fot.: P. Whitehead.
MER 18, h. 18.30, VEN 20, h. 20.30
 
Peter Whitehead
Led Zeppelin: Live at the Royal Albert Hall
Gran Bretagna 1970, 102’, col., v.o. sott. it.
Dopo la provante esperienza statunitense, Whitehead ritorna al rockumentary, filmando il concerto dei Led Zeppeling al Royal Albert Hall, 17 e 19 febbraio 1970. I Led Zepepling si sono formati da appena due anni, quando, sull’onda del successo ottenuto negli Stati Uniti, tornano in Inghilterra dove invece non hanno ancora nessuna notorietà: il paese era troppo abbagliato dagli Stones. Siamo nel gennaio 1970, Peter Grant, loro manager, chiede a Peter Whitehead di filmare il concerto al Royal Albert Hall. Il gruppo fu molto insoddisfatto del risultato, trovando la pellicola troppo buia e cupa… Più probabilmente, i Led Zeppelin che nel 1970 non si erano ancora costruiti un'immagine propria nonostante tournèe già clamorose, non hanno apprezzato il look e il modo di apparire nel film. Girato con due macchine da presa, una di fronte al palco e la seconda sul fondo, il film riesce a catturare i gesti ed i movimenti di ciascuno dei musicisti in modo sublime.
Fot.: P. Whitehead, Anthony Stern, Ernst Vincze; Int.: Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones, John Bonham.
MER 18, h. 20.45, VEN 20, h. 16.30, LUN 23. h. 22.45
 
Peter Whitehead
Pink Floyd London '66-'67
Gran Bretagna 1967, 30’, b/n e col., v.o. sott. it.
La prima sessione di registrazione dei Pink Floyd del 1967 pagata dallo stesso Whitehead. La strumentazione del gruppo sembra presa in prestito da studi radiofonici prebellici. L’azione si sviluppa tra questi interni fumosi, i frammenti del loro concerto dal vivo al Ufo di Londra, centro nevralgico della nascente scena psichedelica, e il 14 Hour Technicolour Dream del 29 aprile 1967 all’Alexandar Palace. Whitehead ha dedicato il film all’amico Syd Barrett, soggetto anche del suo romanzo, The Risen. “I Pink Floyd stavano suonando la musica perfetta rispetto a quanto stava accadendo a quel tempo. La gente andava ai concerti sotto l’effetto degli acidi e la percezione del tempo cambiava. Non interessavano canzoni che durassero 2'37 ". I Pink Floyd prendevano alcuni elementi di base dalla musica pop, ma Syd gli usava in ogni direzione possibile, portandoli così in contesti completamente differenti” (P. Whitehead).
Fot.: Peter Whitehead; Int.: Syd Barret, Roger Waters, Rick Wright, Nick Mason.
MER 18, h. 22.30, VEN 20, h. 18.15
 
Peter Whitehead
The Beach Boys in London
Gran Bretagna 1967, 20’, col., v.o. sott.it.
Brian Wilson aveva già abbandonato i concerti dal vivo, quando la band californiana andò in tournée in Inghilterra. Whitehead segue la band per le strade di Londra ne intervista i componenti. La voce narrante è di Marianne Faithfull.
Fot.: P. Whitehead.
MER 18, h. 23.00, VEN 20, h. 18.45
 
Peter Whitehead
The Benefit of the Doubt
Gran Bretagna 1967, 65’, b/n e col., v.o. sott. it.
The Benefit of the Doubt è uno sguardo critico sulla devastazione e disumanità della guerra. Il documentario è stato realizzato con Peter Brook e la Royal Shakeseare Company durante la preparazione e le prove della piéce teatrale dai toni fortemente politicizzati e contestatori dal titolo deliberatamente ambiguo "US": si potrebbe scrivere “U.S.” oppure “us”, puntando così il dito sulla la complicità del pubblico britannico rispetto alla guerra in Vietnam. Questo spettacolo è stato uno dei primi tentativi di teatro sperimentale in Inghilterra che si rifaceva alle nuove tecniche sperimentate da Arthaud, Leaving Theatre e Grotowski. II film alterna sequenze a colori con l’interpretazione della piéce, a interviste in bianco e nero ad attori e regista. Si aggiungono anche immagini di fatti accaduti fuori dal teatro. “Fu difficile realizzare questo film, perché dovevo riprendere la pièce come un documento, ma allo stesso tempo mostrare come fosse il risultato di un lavoro di gruppo destinato al grande pubblico (P. Whitehead)
Fot.: P. Whitehead, Richard Mordaunt, Anthony Stern, Louis Wolfers; Int.: Peter Brook, Glenda Jackson, Michael Kustow, Michael Williams e la Royal Shakespeare Company.
GIO 19, h. 16.30, SAB 21, h. 18.30
 
Peter Whitehead
Tonite Let's All Make Love in London
Gran Bretagna 1967, 70’, b/n e col., v.o. sott.it.
Testimonianza unica e di prima mano della controcultura inglese degli anni Sessanta. Whitehead è stato uno dei pochi filmmaker che ebbe accesso alla cerchia degli artisti illuminati e con grande abilità e freschezza, ha saputo catturare l’attimo in questo suo film caleidoscopico. Il titolo deriva dalla poesia di Ginsberg, Who Be Kind To. “La poesia di Ginsberg si concentra prevalentemente sul furto della cultura britannica da parte di quella americana e del capitalismo imperialistico, è molto cupa. Per me gli anni Sessanta sono la marcia su Aldermaston, la guerra in Vietnam e del Dialectics of Liberation. Il solo miracolo di quegli anni è che c’è stato un momento di cambiamento estremo che ci ha permesso di attraversare tutto questo senza una violenza selvaggia (P. Whitehead).
Fot.: P. Whitehead; Int.: Alan Aldridge, Vashti Bunyan, Eric Burdon, Michael Caine, Julie Christie, Allen Ginsberg, David Hockney, Mick Jagger, Kenney Jones, Lee Marvin.
GIO 19, h. 17.45, SAB 21, h. 20.30
 
Peter Whitehead
The Fall
Gran Bretagna/Usa 1969, 120’, b/n e col., v.o. sott.it.
Subito dopo la proiezione di Benefit of the Doubt al New York Film Festival, Whitehead iniziò a filmare manifestazioni di protesta, discorsi a favore della guerra, reading di poesie e performance pubbliche di vario tipo: siamo tra l’ottobre 1967 e il giugno 1968: Robert Kenendy, The Bread and Pupped Theater, Paul Auster (giovanissimo studente della Columbia), Tom Hyden, Mark Rudd, Stokely Carmicheal, H. Rap Brown, Arthur Miller, Robert Lowell, Robert Rauschenberg, The Decostructivists, gli studenti della Columbia University con i quali Whitehead trascorse cinque giorni e cinque notti nell’aprile ’68 quando presero il controllo di numerose palazzine all’interno del campus. Whitehead escogita una storia su un assassinio politico nella quale inserire frammenti tratti dalla realtà. Il risultato è un incredibile ibrido tra fiction e nonfiction, uno sguardo soggettivo sulla sinistra americana e il suo confronto con l’élite al potere che sosteneva e finanziava la guerra del Vietnam (P. Whitehead).
Fot.: P. Whitehead; Int.: Alberta Tiburzi, Stokely Carmichael, Robert Lowell, Paul Auster, Arthur Miller, Robert Rauschenberg, Peter Whitehead.
GIO 19, h. 22.30, SAB 21, h. 16.30
 
Peter Whitehead
Fire in the Water
Gran Bretagna 1977, 90’, b/ e col., v.o. sott. it.
Film allegorico, una specie di requiem degli anni Sessanta che alterna il repertorio di Whitehead, con interludi girati in un angolo sperduto della Scozia, dove si rifugia una giovane coppia: lui passa le sue giornate esaminando la sua carriera cinematografica (il repertorio di Whitehead, appunto), mentre lei esplora il territorio circostante, aggirandosi per boschi e cascate in sola compagni di animali vivi e morti. Fire in the Water è l’ultimo film di Whitehead, il tentativo di drammatizzare la sua rinuncia al cinema, per sempre. “Fire in the Water è stato un errore. Sono stato convinto a farlo. Non lo vedo come un mio film” (P. Whitehead).
Sc.: P. Whitehead, Marc Sursock; Fot.: P. Whitehead; Int.: Nathalie Delon, Edouard Niermans.
SAB 21, h. 22.00, DOM 22, h. 18.45
 
Peter Whitehead
The Perception of Life
Gran Bretagna 1964, 19’, b/n e col., v.o. sott.it.
Documentario scientifico di mezz’ora girato su commissione nei laboratori della Cambridge University dove Whitehead studiò. The Perceprion of Life fu filmato con e attraverso i microscopi usati dagli scienziati dal XVII al XX secolo, compreso quello elettronico dell’unità MRC, dove Francis Crick scoprì la struttura del DNA. “A quel tempo non mi piaceva proprio, mi ci sono appassionato successivamente: un film di mezz’ora fatto per la Nuffield Foundation che documentava la storia dei concetti che cambiavano nell’uomo. Non ho usato solo la macchina da presa, molte sequenze le ho girate con i primi microscopi usati dagli scienziati. Vediamo cosa vedevano loro e perché loro hanno descritto le loro idee nel modo in cui lo hanno fatto. Più tardi, ho realizzato che tutti i miei film sono legati all’idea di usare la mdp come un microscopio. Sono sempre stato consapevole che la mdp sta tra me e la realtà, tanto dissimulando quanto rivelando. La verità è sempre relativa, ma lo è soprattutto quando stai filmando (P. Whitehead).
Fot.: P. Whitehead.
DOM 22, h. 16.30, LUN 23, h. 20.30
 
Peter Whitehead
Daddy
Gran Bretagna/Francia 1973, 85’, b/n e col., v.o. sott.it.
Il progetto iniziale di Daddy, voleva essere un documentario sulla scultrice francese Niki de Saint Phalle – conosciuta per le sue sculture gioiose, galliche, variopinte e per le sue bambole gonfiabili -, terminò in un film di finzione, a tratti gotico, a tratti surreale, su una donna che tenta di esorcizzare l’influenza del padre sulla sua sessualità. Uno dei film più estremi di Whitehead. “In un certo modo Daddy è un proseguimento del discorso del microscopio iniziato con The Perception of Life. La macchina da presa è il microscopio che si intromette nella mia relazione con Niki de St Palle, indagando su una persona che per alcuni aspetti è un mito – per molte donne, Niki de St Palle è un mito; non è particolarmente conosciuta in Inghilterra, ma lo è negli Stati Uniti e in Francia. Ed è conosciuta come donna liberata (P. Whitehead).
Sc.: Peter Whitehead, Niki de Saint Phalle; Fot.: P. Whitehead; Int.: Niki de Sanit Phalle, Mia Martin, Rainer Diez.
DOM 22, h. 17.00, LUN 23, h. 21.00
 
Paul Cronin
In the Beginning Was the Image: Conversations with Peter Whitehead
Gran Bretagna 2006, 196’, b/n e col., v.o. sott.it.
Un lungo e sorprendente documentario che ripercorre la carriera cinematografica di Peter Whitehead. Interviste d’archivio unite ad altre più recenti, vecchi e nuovi lavori, frammenti di film rari o mai visti, semplici immagini o selezioni di voluminose riprese d’archivio che rappresentano al meglio la sua carriera. Il film, diviso in due parti, guarda gli strati di vita pienamente variegata di Whitehead compreso le sue avventure come pittore, asso nei fondi di investimento, diarista compulsivo e aspirante romanziere. La prima parte del film dura 100 minuti. La seconda, che ne dura 96, esamina come Whitehead si sai trasformato da un mediatico urbano ad un ricercatore di verità tutt’uno con la natura. Cronin ordina le informazioni in modo da porre gli spettatori in una posizione di continua domanda circa il suo protagonista.
Fot.: Gavin Stevens.
DOM 22. h. 20.30, LUN 23, h. 16.30

 



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