NapoliFilmFestival 9 – Identità sbandate

Stolen EyesIl film "Stolen Eyes” del regista bulgaro Radoslav Spassov  del Concorso Europa-Mediterraneo è l’ennesima riflessione sulle difficoltà della pacifica convivenza e sull’esigenza di difendere la propria identità. Ma, aldilà dell’assunto politico, a colpire sono gli sbandamenti improvvisi, inaspettati della narrazione, che lasciano l’impressione di un film tenero e un po’ folle.       

I PREMI DEL FESTIVAL

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Stolen EyesMolti tra i film in concorso in questa nona edizione del Napolifilmfestival sembrano riflettere, chi più chi meno, sui concetti ormai precari delle radici e dell’identità, sessuale, nazionale, religiosa. E in questo senso appare addirittura paradigmatico Stolen Eyes (Occhi rubati) del bulgaro Radoslav Spassov, già presente al Bergamo Film Meeting 2006. La minoranza turca è costretta dal governo a tagliare i ponti con le proprie origini, sottoponendosi a una “rinominazione” obbligatoria. Tutti coloro che portano un nome musulmano, siano essi anziani o bambini, devono “ribattezzarsi” con un nome bulgaro. In questo contesto s’inseriscono le vicende di Ayten, giovane maestra di un piccolo villaggio a maggioranza turca, e Ivan, un soldato abilissimo nel gioco degli scacchi e per questo responsabile designato dei timbri necessari alle operazioni burocratiche per la rinominazione. Vista la strenua resistenza di Ayten, Ivan prova a nascondere il timbro necessario, ma…La mente viaggia subito a The Namesake, l’ultimo film di Mira Nair: il nome come segno del destino e traccia di una radice, tesoro personale da difendere con orgoglio. Ma la somiglianza con Stolen Eyes finisce qui. Perché, in fondo, l’assunto politico del film di Spassov è talmente giusto, da risultare quasi ovvio: la dignità delle minoranze, l’azione omologratice e fondamentalmente dittatoriale del potere, la necessità dell’accettazione delle differenze, aldilà dello scontro etnico e religioso. Invece ciò che colpisce, oltre la recitazione calibrata dei protagonisti (Vessala Kazakova e Valery Yordanov), è quel procedere della narrazione per sbandamenti, détournements improvvisi e inaspettati. Non si tratta di una semplice e fredda destrutturazione del racconto, quanto di un ricorso sistematico a una sorta di memoria emotiva. La stessa cui si affida Ivan dopo aver subito un grave shock. Un andamento “sussultorio” che sembra riprodurre nel discorso l’instabile emotività dei protagonisti, i moti incerti e contraddittori dei sentimenti. E quest’assonanza lascia l’impressione di un film tenero, un po’ folle, moderno e arcaico al tempo stesso, una “nouvelle vague” in chiave bizantina. A tratti anche divertente, nonostante il dramma e la tragedia siano sempre presenti. Perché, in fondo, ci possono togliere il nome, ma il cuore e la mente fanno sempre la loro strada. Lo sapeva bene Osip Mandel’štam: “Privandomi del mare dello spazio per la corsa e il volo/ dando alla mia orma il supporto di una terra forzata/ cosa avete ottenuto? Calcolo brillante:/ non siete riusciti a estirpare le labbra che si muovono”.
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