"Nata per vincere", di Sean McNamara

Nata per… piacere. Ecco il titolo "nascosto", "sotterraneo" di questo teen-movie che parte con stralci promettenti di abbaglianti sospensioni drammatiche e distacchi traumatici per afflosciarsi poco dopo adagiandosi su scontati "adagi" narrativi e sentimentali, giungendo anche, clamorosamente, a dimenticare il proprio fulcro/baricentro: la musica.

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Essere vincente. Mito americano per eccellenza. Obiettivo assoluto per un popolo giovane come quello nord-americano, ancora così poco forgiato dalla sconfitta (Vietnam e 11/09/01 sono solo graffi storici…) al contrario di civiltà millenarie come la nostra. In quest'ultimo "saggio" sull'argomento partiamo da Flagstaff, Arizona, dove vive la sedicenne Terri Fletcher (Hilary Duff), tipica ragazza dolce e sbarazzina di provincia che non si accontenta (come, per esempio, Aretha Franklin prima di lei…) di liberare l'ugola nel coro della chiesa, ma sogna di diventare una cantante famosa. L'improvvisa morte in un incidente stradale del fratello Paul e il morboso attaccamento paterno, che demonizza i pericoli delle grandi città, le impediscono inizialmente di sfruttare la borsa di studio vinta per un corso estivo alla Bristol Hilliman, prestigiosa scuola d'arte di Los Angeles. Ma con l'aiuto della zia scultrice d'avanguardia (Rebecca De Mornay) e della madre, inganna il padre-padrone(-macchietta) e decide di partire alla volta della California musicale per ricordare il fratello perduto, che la sosteneva in questa sua passione. Nata per… piacere. Ecco il titolo "nascosto", "sotterraneo" di questo teen-movie che parte con stralci promettenti di abbaglianti sospensioni drammatiche (il ricorrente flashback degli occhi di Terri e del fratello che s'incrociano/abbracciano negli ultimi istanti insieme, mentre sullo sfondo l'automezzo sta per travolgerli e separarli) e distacchi traumatici (il viaggio verso l'ignoto di Terri, aggravato dal raggiro tessuto ai danni di un padre che, in definitiva, è colpevole solo di amarla troppo) per afflosciarsi poco dopo adagiandosi su scontati "adagi" narrativi e sentimentali, giungendo anche, clamorosamente, a dimenticare il proprio fulcro/baricentro: la musica. Il bizzarro professor Torvald disegnato da John Corbett (molto meglio gustarselo nel precedente e splendido Quando meno te lo aspetti) ambisce alle eterodossie didattiche del professor Keating di Robin Williams in L'attimo fuggente, ma non le lambisce nemmeno, e la protagonista dopo altre prove leggere quali Lizzie McGuire (tratta dalla serie tv di Disney Channel che l'ha lanciata), Una scatenata dozzina, Agente Cody Banks, Cinderella story purtroppo non progredisce come clone "ripulito" di Britney Spears, canta in rozzi playback (lei che, nella realtà, ha inciso 3 album e venduto qualche milione di copie!) e le sue iridi, inspiegabilmente, mutano dal castano al verde e viceversa. Effetto speciale per distrarre dalla pochezza in campo che odora troppo di tubo catodico?

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Titolo originale: Raise your voice
Regia: Sean McNamara
Interpreti: Hilary Duff, Rebecca De Mornay, Jason Ritter, John Corbett, Oliver James, David Keith
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 103'
Origine: Usa, 2004

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