"Nativity", di Catherine Hardwicke

Una sommatoria tra classico hollywoodiano e stilemi contemporanei non raggiunge la sintesi della creatività. E se l'intenzione era raccontare il sentire dei personaggi, "Nativity" – anziché scegliere la linearità e la ricostruzione meticolosa e spettacolare – poteva essere molto più intimista

--------------------------------------------------------------
Corso online PRODUZIONE CINEMA E TV, con Tore Sansonetti. Dal 26 novembre!


--------------------------------------------------------------
----------------------------------------------------------
DIREZIONE DELLA FOTOGRAFIA, corso online con Nicola Cattani dal 20 novembre

----------------------------------------------------------

Funziona se si crede. Altri film sulla vita di Gesù sono stati capaci di emozionare, far riflettere, impattare sugli animi al di là del loro credo religioso – allargando lo sguardo alla spiritualità nel senso più ampio del termine, alla forza di credere in qualcosa, alla realtà di sentimenti e tratti dell'animo umano. A differenza di pellicole come quelle, Nativity resta invece completamente confinato nella logica religiosa, inutilmente rinforzata da indizi (la colomba, il pesce, l'acqua, l'agnello) che tradiscono una simbologia sacra banalizzata, naif e troppo in odore di ipersemplificazione americana. La regista Catherine Hardwicke, maga del patinato con Thirteen, esperta dell'universo giovanile con Lords of Dogtown, è chiamata di nuovo a scandagliare la psicologia di due personaggi adolescenti (Maria e Giuseppe). Ma resta – come era forse prevedibile – in superficie. Così le scene di massa somigliano molto a quelle dei più famosi kolossal hollywoodiani sul tema, ma il tutto è rivestito – appunto – di una lucidatura che non disdegna ralenti e zoom come stanchi espedienti emotivi, e che operando semplicemente una sommatoria tra il classico e la velocità di montaggio contemporanea, non raggiunge la sintesi della creatività.


I picchi alti del film – le scene tra Maria e sua cugina Elisabetta, qualche momento tra Maria e Giuseppe – sono sempre e comunque da attribuire esclusivamente alla recitazione di Keisha Castle-Hughes e di Shohreh Aghdashloo. I Re Magi sembrano invece costretti in una dimensione sospesa tra fiction televisiva (per livello di interpretazione) e teatro (per il taglio delle inquadrature), che vuole necessariamente considerarli come una specie di terna indivisibile, che la macchina da presa non può rischiare di perdere di vista; il re Erode e suo figlio sono rappresentati in modo palese con l'estetica del cartoon – luciferini, fissi nello sguardo, ipersemplificati e bidimensionali – ma senza neanche la raffinatezza della contaminazione cinema/fumetto. Il viaggio a Betlemme fa crescere per immagini l'amore di Maria per Giuseppe. Se però l'intenzione era quella di raccontare una storia centrata sul sentire dei personaggi, Nativity – anziché scegliere la ricostruzione meticolosa e spettacolare, la linearità, in una parola il boom al botteghino – poteva essere molto più intimista.

Titolo originale: The Nativity Story


Regia: Catherine Hardwicke


Interpreti: Keisha Castle-Hughes, Oscar Isaac, Hiam Abbass, Shohreh Aghdashloo, Alexander Siddig


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 101'


Origine: USA, 2006

----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative