Neil Young vs. Spotify: rimossa la discografia

La piattaforma ha accolto la richiesta del cantautore in seguito alle polemiche contro il podcast no vax di Joe Rogan. L’ultimo album con i Crazy Horse, Barn, era uscito appena lo scorso dicembre

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A sole 24 ore di distanza dalla lettera aperta indirizzata al suo manager Frank Gironda e alla sua label, la Warner Bros, in cui Neil Young chiedeva di rimuovere tutta la sua discografia da Spotify, la piattaforma ha esaudito la richiesta. Il cantautore ha accusato il service musicale di diffondere fake news riguardo ai vaccini, lasciando spazio al podcast condotto da Joe Rogan, The Joe Rogan Experience, già tacciato di fare disinformazione sul Covid da parte di numerosi scienziati e virologi. Young ha lanciato un aut aut alla piattaforma: “Spotify può avere solo uno tra Rogan e Young… non entrambi”. In un momento in cui il panorama discografico è totalmente a picco dal punto di vista commerciale, una scelta così radicale, per quanto coerente col personaggio, potrebbe sembrare un’operazione suicida, considerata anche la recente uscita di Barn, ultimo album del cantautore canadese, a dicembre 2021. Ma Neil Young resta tra gli ultimi veterani del panorama musicale che ancora possono permettersi di ignorare le leggi di mercato.

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Effettivamente non è la prima volta che il musicista fa cancellare la sua discografia dalle piattaforme streaming: nel 2015 aveva lasciato Spotify e Apple Music, colpevoli di comprimere il suono dei brani riprodotti, per poi fare marcia indietro poco tempo dopo. Ma Young si è sempre mostrato intransigente rispetto alla qualità audio della musica, motivo per cui non ha mai dato la propria approvazione alle esibizioni in streaming nate in periodo pandemico. Nel gennaio 2015, in seguito a una campagna di crowdfunding grazie alla quale ha raccolto più di 10 milioni di dollari, Young ha addirittura lanciato una propria piattaforma di download, chiamata Pono (che offriva audio in 24 bit ad alta risoluzione) e il suo hardware complementare, PonoPlayer, che insieme a Tidal, service di riproduzione musicale acquisita da Jay-Z nel 2014 e utilizzata prevalentemente da artisti black, doveva rappresentare un’alternativa qualitativamente superiore alle piattaforme musicali mainstream. Purtroppo però, a seguito dell’insuccesso ottenuto, Pono ha dovuto chiudere i battenti già nel 2016.

Dal canto suo Spotify ha risposto alle accuse di Young rendendo noto di aver finora rimosso più di 20mila contenuti controversi sulla pandemia: “Vogliamo che tutta la musica e i contenuti audio del mondo siano a disposizione dei nostri clienti. Con questo viene la grande responsabilità di bilanciare la sicurezza degli ascoltatori e la libertà degli artisti. Ci dispiace che Neil abbia deciso di rimuovere la sua musica, ma speriamo di dargli di nuovo presto il benvenuto tra noi”. Ma quindi dove si può ascoltare la musica di Neil Young ora che su Spotify non è più disponibile? I Neil Young Archives, sito online gestito direttamente dall’artista, permette di ascoltare tutto il suo catalogo musicale, ovviamente in alta qualità, oltre a poter accedere a contenuti premium come video esclusivi, foto e stream dei tour. L’accesso agli Archives costa meno di due dollari al mese e secondo Wired, alla fine di ottobre del 2019 aveva già attirato 25 mila abbonati. È facile pensare dunque che dietro alla bagarre tra il musicista e Spotify si nascondano motivazioni economiche: il podcast di Joe Rogan, con cui la piattaforma ha stipulato un accordo da 100 milioni di dollari, è il più popolare tra i contenuti dello stesso tipo, con circa 11 milioni di ascoltatori. A fronte di questo, si potrebbe pensare che a Spotify convenga di più continuare ad ospitare The Rogan Experience, rispetto alla discografia di Neil Young che di certo non genera lo stesso giro di ascolti. D’altra parte, anche per il musicista la perdita effettiva di introiti risulta irrisoria: Spotify infatti paga per ogni singolo ascolto in streaming appena 0,0043 dollari e i maggiori guadagni iniziano ad esserci se gli stream per ciascun brano o album superano il milione. Senza contare poi la redistribuzione dei ricavi tra le varie parti coinvolte, tra artisti, etichette discografiche e distributori. Oltre, ovviamente, alle tasse.

Un recente studio condotto da MRC Data, azienda di analisi musicali, ribalta però questa lettura. Infatti secondo le indagini, le vecchie canzoni oggi rappresentano il 70% del mercato musicale statunitense, a fronte di una progressiva riduzione del mercato di musica contemporanea. A livello di ascolti, le duecento nuove tracce più popolari rappresentano meno del 5% degli stream totali. Questo cambiamento di orizzonte è dimostrato anche dalle manovre delle società di investimento e delle etichette discografiche, sempre più orientate all’acquisto di cataloghi editoriali pop e rock risalenti agli anni ‘70 e ‘80 anni (The Police, Creedence Clearwater, Bob Dylan, Paul Simon, Bruce Springsteen) o già morti (David Bowie, James Brown), confermando che il vecchio è ad oggi considerato superiore al nuovo. A tutto ciò si aggiunge la nuova tendenza a far tornare in vita in forma virtuale, tramite ologrammi e deep fake vocali, i musicisti morti, in quella che si potrebbe definire una vera e propria operazione revival. Chissà che anche Spotify non decida di cavalcare questo nuovo trend.

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