Nel mio nome, di Nicolò Bassetti

Il doc di Bassetti prodotto da Elliot Page esplora con grande delicatezza le vite di 4 ragazzi transgender, trasportando lo spettatore oltre le “colonne d’Ercole dei due generi”. In sala da oggi

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In molte culture, anche separate da immensi spazi e infiniti tempi, Dio è un calligrafo e il mondo ha origine da un suo segno, cosicché non è la realtà a generare la parola, ma il contrario. Dare un nome alle cose significa allora attingere a quel potere primigenio e sacro della parola, utilizzando una capacità evocativa che tutti gli esseri umani hanno ereditato. Anche non credendo in questo potere magico delle parole, è indubbia la violenza di una sentenza come quella del tribunale di Milano del 2017, che escludeva la possibilità che all’interno del concetto di persona umana potesse rientrare un terzo genere al di fuori dei due tradizionali. Parte proprio da questa violenza istituzionalizzata Nel mio nome, il documentario di Nicolò Bassetti presentato alla 72ª Berlinale e in uscita in sala il 13, 14 e 15 giugno.

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L’ideatore del progetto da cui è nato Sacro GRA di Gianfranco Rosi ha pensato a Nel mio nome nello stesso anno della sentenza milanese, quando suo figlio gli scrive una lettera. Gli annuncia l’inizio di un percorso al di fuori dell’identità femminile e lo pregava di rimanergli vicino. Lo sgomento, inizialmente, c’è stato, ha ammesso Bassetti, eppure “lo spaesamento è un qualcosa che prelude a una novità importante”. Nasce così l’idea di cercare di raccontare l’intreccio di quattro vite di persone transgender, che si aprono alla macchina da presa condividendo gioie e dolori della transizione di genere. C’è Leo, che lavora da McDonald e cura un podcast a tema transgender; Nico, che vive con sua moglie in un casolare immerso nella natura; Andrea, scrittore inseparabile dalla sua Olivetti rossa; Raff, illustratore e meccanico in una ciclofficina.

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È quest’ultimo che in un momento del documentario è nell’officina di cui è socio. Sta costruendo, con l’aiuto del suo amico Dario, la bicicletta dei suoi sogni: ha deciso che il colore del telaio sarà il rosa. Sfogliano quindi un pantone, passando in rassegna i diversi tipi di rosa mentre scherzano tra di loro con leggerezza. Lo sguardo di Nel mio nome predilige momenti come questi, di una quotidianità disarmante nella loro semplicità eppure estremamente simbolici, alternandoli con altrettanto illuminanti frasi estrapolate dal podcast di Leo e da interviste agli altri ragazzi, registrate appositamente per il documentario. La macchina da presa trova sempre quella distanza necessaria a non farla scadere nell’invadenza, permettendo ai protagonisti del documentario di Bassetti di aprirsi spontaneamente, offrendo al pubblico i loro lati più intimi con generosità.

Non sorprende che un documentario come Nel mio nome abbia colpito nel profondo Elliot Page, divenuto poi produttore esecutivo. La narrazione trasporta lo spettatore con dolcezza “oltre le colonne d’Ercole dei due generi” verso nuovi e fecondi territori nei quali anche il cinema può rimanere uguale a sé stesso solo al prezzo di essere sorpassato. Allo stesso modo, il film non ha paura di cambiare formato all’inquadratura, di frammentarla, di integrare immagini provenienti da videochiamate. Il risultato è una dolce carezza, che scaccia la paura e infonde il coraggio necessario a plasmare nuove narrazioni, nuove parole per una nuova umanità finalmente libera di agire secondo la magia del proprio nome.

Regia: Nicolò Bassetti
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 93′
Origine:
Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
Sending
Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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