NERO/NOIR – Questo schermo è ancora nostro: la 'nuova' Italia Nera in TV

SonetaulaSalvatore Mereu adatterà il suo nerissimo Sonetàula per il piccolo schermo rinforzando proprio l'impalcatura 'di genere' del film. Potrebbero dunque  le restrizioni imposte alle opere nere per la tv spesso soprendenti di Michele Soavi o dei Manetti Bros. salvare il noir italiano dalle rarefazioni altoautoriali, dal dilettantismo snob, dalle vuote ellissi "cerebrotiche" alla Vincenzo Marra? Perchè il film di genere, dice Marco Martani, è innanzitutto "un meccanismo narrativo".

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SonetaulaHa davvero sfumature noir l’ultimo, molto bello Sonetàula di Salvatore Mereu. Prima di subire la violenta astrazione e rarefazione di tempi e luoghi che ne segna la parte centrale, il secondo film di Mereu si apre infatti con una situazione (sarebbe ardito parlare di ‘atmosfera’, eppure…) che rimanda subito al ‘genere’. C’è un omicidio irrisolto e misterioso, dai contorni poco chiari: chi ha ucciso Anania Medas? Perchè il padre di Sonetàula è stato accusato ingiustamente del delitto, e spedito direttamente al confino? Parte tutta da qui, la parabola esistenziale di un pastore sardo adolescente che miracolosamente diventa una classica figura di antieroe ‘nero. Il suo destino è segnato dall’aver accompagnato il nonno a fare giustizia di Mereghile, ovvero colui che ha ‘incastrato’ il padre, e una volta cresciuto il pastore non può che schierarsi contro la Giustizia e le istituzioni, scegliendo la vita del fuorilegge tra i monti. Anche qui rispettando in tutto e per tutto l’iter classico del protagonista di noir (non sarà un caso che Sonetàula vada al cinema proprio a vedere un film con Humprey Bogart…), nel finale è solo per amore che il protagonista abbandonerà il suo rifugio, rischiando la vita ed esponendosi ai proiettili della Legge unicamente per la donna che ama. Non a caso proprio il finale è la parte più stringata, quella in cui viene più facile pensare al ‘genere’.

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Il regista afferma che per la versione televisiva di Sonetàula (prevista già in fase di pre-produzione, trattandosi di una realizzazione di Raifiction), oltre al doppiaggio in italiano dei dialoghi in un fantastico dialetto sardo bisognoso altrimenti di sottotitoli (e non sia mai, sottotitoli in tv in prima serata!), siano state o saranno apportate profonde aggiunte e modifiche al film, al fine di renderlo “più adatto allo spettatore televisivo”. E si tratta di tutta una serie di aggiustamenti – l’aggiunta del personaggio del ‘signorotto’ del paese, insieme al maggiore spazio lasciato all’ ‘antagonista’ di Sonetàula, il figlio di Mereghile – che non fanno che rendere maggiormente rafforzata, evidente ed esplicita la struttura noir dell’opera.

Da qui: che sia davvero molto più facileL'ora di punta e soprattutto ‘giusto’ dunque girare opere di genere in Italia quando siano destinate al piccolo schermo? Di certo questa 'natura' prevede l’aderenza a tutta una serie di coordinate ben precise che ne garantiscono la fruibilità complessiva finale verso un pubblico potenzialmente ampissimo. E, soprattutto, dall’altro lato fa sì che in televisione – (vi)deo gratias – non si possano mai vedere ‘esercizi di genere’ francamente indifendibili come L’ora di Punta di Vincenzo Marra. Per fortuna, questo schermo è ancora nostro: Mereu salva la sua pellicola nell’istante stesso in cui minacciava di ‘rilassarsi’ eccessivamente su modelli ‘autoriali’ (d’accordo, d’accordo, De Seta…), proprio imponendogli soluzioni di genere dettate dalla destinazione (anche) televisiva. Mentre Marra, “fieramente cinematografico”, distrugge dei presupposti sicuramente ‘neri’ come il personaggio della femme fatale, o la parabola irreversibile del protagonista ambiguo e luciferino che sprofonda sempre più in un vortice di malefatte sino a bruciare all'inferno. Perseguendo una via alla rarefazione d’autore che passa attraverso una continua serie di ellissi sprezzanti, dialoghi pretestuosi, simbolismi spiccioli, un uso dello spazio della città mai così banalizzato. E' la stessa Roma che in Cemento Armato si trasforma in set perfettamente e meravigliosamente strumentale al racconto di Martani, qui utilizzata per far scambiare valigette ‘che scottano’ tra i personaggi all’ombra del Colosseo, del Circo Massimo, o di Largo Argentina….

L'ispettore Coliandro - ll bambino e la befanaBen vengano allora i ritmi televisivi se contribuiscono a realizzare al contrario opere nere di assoluta bellezza come gli ultimi lavori dei Manetti Bros per il piccolo schermo, in cui finalmente i due videomakers hanno la possibilità di dimostrarsi come veri fuoriclasse del genere in Italia – a parte l’intera serie de L’ispettore Coliandro, è l’episodio Il bambino e la Befana che apriva il lotto di Crimini  a rivelarsi come una delle visioni nostrane più eclatanti, riuscite ed 'avanzate' dell’intero 2007. Anche i Manetti sembrano allora aver ormai realizzato (l'unico che pare ancora lontano dal farlo sembra restare Davide NotturnoBus Marengo) che ne Il trucido e lo sbirro non funziona unicamente il personaggio coatto di Tomas Milian, ma anche tutta un’impalcatura sottostante che non perde un colpo: il film perciò è il risultato di un lavoro certosino di stilizzazione di plot e sequenze, il prodotto ultimo di un’attenzione tutt’altro che ‘caciarona’ alla stretta essenzialità delle vicende, delle scene, delle scazzottate, delle sparatorie.

"Il film di genere è un meccanismo narrativo", dice Marco Martani. E allora: manifestare un profondo rispetto ed un’assoluta coerenza verso le ‘regole del nero’, un approccio strutturato e più umile che perciò risulti perfettamente funzionale e, per nulla paradossalmente, moderno, verso una solidità tutta propria. Quella di Marco Martani e dei Manetti, se non nuova, resta davvero una direzione oggi come oggi inaspettata, nel panorama di arrogante dilettantismo ‘alto’ e di ottuso rifiuto dei meccanismi inArrivederci amore ciaodustriali che infervorano le anime belle della nostra spocchiosa generazione di cineasti – e teniamo per inciso fuori dal lotto due visioni infiammanti come il rigenerante noir Nazareno di Varo Venturi o il clamoroso prison movie, anch'esso sardo, Jimmy della Collina di Enrico Pau da Massimo Carlotto.  

Perchè è tempo – e di certo si è già in gran ritardo – che le polverose teste pensanti del nostro 'altolocato' accademismo critico realizzino quanto personalmente ci è già sotto gli occhi in maniera limpida da un bel po'. E ovvero che  il Michele Soavi che gira un capolavoro come Arrivederci amore, ciao (sempre Carlotto) è lo stesso Maestro del cinema italiano che trasforma la fiction sul serial killer Donato Bilancia in tv, L’ultima pallottola, in un noir tesissimo e per certi versi visivamente ‘estremo’. Un gioiello che è Cinema purissimo, degno del miglior Sam Raimi, continua ripresa e reinvenzione delle convenzioni formali del piccolo schermo attraverso un ribaltamento totale ed estasiante di inquadrature e movimenti.  Messo in piedi e 'donato' alla famelica audience del piccolo schermo senza preoccuparsi minimamente della 'bestialità' supposta del destinatario. Un capolavoro in formato tv, un gioco di prestigio – come il Risi/Provenzano o l'inaspettatamente sorprendente Monteleone/Riina – riuscito senza strillare. Perchè in fin dei conti, stiamo comunque sempre parlando di robaccia come le 'fiction di genere', no? 

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