Neve nera, di Martin Hodara

Film dalle potenzialità infinite, decide di scegliere la strada battuta del conformismo e della psicopatologia a buon mercato. Giallo alla Stieg Larsson un po’ sopra le righe. Con Ricardo Darin

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Gruppo di famiglia nell’inferno nevoso della Patagonia. Il regista argentino Martin Hodara decide per il suo secondo lungometraggio di mescolare drammi familiari e l’atmosfera del thriller psicologico. Come per la sua opera prima datata 2007, La Senal, Hodarasi affida alle robuste spalle di uno dei più grandi attori argentini, quel Ricardo Darin che abbiamo ammirato ne Il Segreto dei suoi occhi (2011) di Juan Josè Campanella e in Cosa piove dal cielo? (2011) di Sebastian Borensztein. Un misterioso incidente di caccia avvenuto nel 1978 sconvolge gli equilibri di una famiglia di ricchi possidenti argentini: il piccolo Juan muore con un colpo di fucile alle spalle e il padre e i tre fratelli (Sabrina, Marcos e Salvador) nascondono segreti e sensi di colpa. Alla morte del patriarca si riaprono vecchi rancori tra Salvador (Ricardo Darin) in volontario eremitaggio in un rifugio tra le montagne e Marcos (Leonardo Sbaraglia) che tenta di ricavare il massimo profitto dalla vendita delle terre di famiglia.

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La nitida fotografia di Arnau Valls Colomer aiuta la commistione tra passato e presente: i flashback si alternano ordinatamente e aiutano lo spettatore a ricomporre il puzzle degli avvenimenti. Una scena esemplare è quella di Marcos e della compagna incinta Lara (Laia Costa attrice spagnola, stupenda protagonista di Victoria di Sebastian Schipper) che si addormentano davanti al camino della baita in montagna: il crepitio della brace è il raccordo sonoro per un ricordo di infanzia in un lungo piano-sequenza dalle atmosfere kubrickiane. Molto azzeccato il campo controcampo che collega la lettura del bigliettino rivelatorio con la immagine della scena primaria alla base del fatto di sangue. L’innocenza è perduta, la neve si tinge di rosso, la famiglia implode nel proprio desiderio incestuoso.
Nonostante la ottima fattura tecnica e una prova esemplare di tutti gli attori, il film soffre nella seconda parte di una scrittura non molto originale che strizza un po’ l’occhio a certe serie TV e al modello della famiglia disfunzionale alto borghese (ci viene in mente El Clan di Pablo Trapero ma senza le connotazioni politiche). La svolta degli ultimi venti minuti cozza incredibilmente con i caratteri dei protagonisti e costringe gli attori ad una capriola all’indietro per mantenere la verisimiglianza.

Girato tra Buenos Aires (per gli interni) e Andorra (esterni che dovrebbero richiamare la

gif critica 2 Patagonia), Neve Nera è un film dalle potenzialità infinite ma che decide di scegliere la strada battuta del conformismo e della psicopatologia a buon mercato. Un giallo alla Stieg Larsson che soffre di contaminazioni latine un po’ sopra le righe (la descrizione della malattia mentale di Sabrina appare dilettantesca).
Intervistato riguardo al film Martin Hodara dichiara che il suo intento era di fare evolvere le psicologie dei tre personaggi principali (Salvador, Marcos e Lara) e mostrare come la malattia familiare può essere trasmessa anche ad un elemento esterno. Salvador in realtà rimane scontroso e misantropo fino all’ultima sua scena e Lara e Marcos hanno mutamenti troppo repentini per potere parlare di maturazione caratteriale. Così il nucleo da tragedia greca si risolve in tanti frammenti privi di spessore e dal sottofondo farsesco.
Le belle riprese dall’alto dei Pirenei con le grandi cime innevate e avvolte dalle nuvole (sembra di rivedere la sigla di Twin Peaks) lasciano il passo a un intreccio noir che si sfalda miseramente all’apparire del vero lasciando più di un rimpianto.

Titolo originale: Nieve negra
Regia: Martin Hodara
Interpreti: Ricardo Darín, Laia Costa, Dolores Fonzi, Andrés Herrera, Miguel Iglesias, Federico Luppi
Origine: Argentina, Spagna, 2017
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 90′

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