Nickel Boys, di RaMell Ross

Tratto dal romanzo premio Pulitzer, Nickel Boys ha il dono della poesia, in bilico tra il ricordo e l’esperienza, nell’incertezza dello sguardo e la forza dello spirito. RoFF19. Alice nella città

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Negli ultimi anni sempre più registi afroamericani hanno avuto finalmente la possibilità di riappropriarsi della propria storia raccontandola dal loro punto di vista. Cineasti come Steve McQueen, Barry Jenkins, Shaka King e A.V. Rockwell hanno contribuito a rimodellare l’immaginario universale della Black Culture a partire dalla riscrittura stessa della storia della tormentata anima della Black America. RaMell Ross, dopo il già convincente documentario Hale County This Morning, This Evening, aggiunge un tassello fondamentale prendendo ispirazione dal romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead dal titolo I ragazzi della Nickel (The Nickel Boys).

Florida, primi anni ’60. Le leggi Jim Crow sono ancora in vigore in tutto il Sud e la segregazione razziale sempre più opprimente. Elwood è un ragazzino afroamericano dagli ottimi voti cresciuto dalla nonna materna col mito di Martin Luther King. Un professore nota in lui delle qualità e decide di selezionarlo per un corso gratuito al college, un modo per elevarsi dalla condizione subalterna in cui è costretto nel suo quartiere. A causa di un equivoco del tutto inaspettato, Elwood si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato, così viene spedito alla Nickel Academy, un riformatorio dove i metodi educativi consistono nel torturare e riempire di botte chiunque non si sottometta alle regole delle guardie. La vita alla Nickel è orribile per tutti, ma ancor di più per chi ha la pelle del colore sbagliato. Il giovane riesce a fare amicizia con Turner, un ragazzo di strada che sembra più sicuro di sé e ormai abituato alla condizione dell’istituto, quasi rassegnato al proprio destino. Ma Elwood ha ancora speranza e desiderio di lottare, uno spirito che riaccenderà l’animo sopito di Turner.

Nickel Boys è ispirato alla vera storia della Dozier School, un riformatorio di cui vennero alla luce i mostruosi abusi quando un gruppo di archeologi scoprirono una tomba comune intorno alla proprietà. Rispetto alla scrittura del romanzo di Whitehead, conciso nel racconto ma crudo e ricco di dettagli nel descrivere gli attimi di violenza, Ross prende una direzione piuttosto inaspettata relegando la brutalità fuori campo. Fin dal principio l’idea del regista è quella di accogliere lo spettatore nel punto di vista di Elwood tramite una soggettiva perpetua, insistita. Impariamo a conoscere il ragazzo dal suo sguardo timido rivolto verso il basso e attratto da alcuni dettagli apparentemente insignificanti. A mano a mano scorgiamo la sua (nostra) figura nel riflesso del ferro da stiro utilizzato dalla nonna o nella vetrina del negozio di TV dove stanno trasmettendo un discorso del Dr. King. Elwood ascolta con attenzione le parole della nonna e del suo professore, inizia a comprendere cosa vuol dire avere la pelle nera nella società americana di quegli anni e noi con lui ne percepiamo il disagio.

Una volta all’interno della Nickel la soggettiva di Elwood inizia ad alternarsi con quella del compagno Turner, in modo da destabilizzare lo spettatore e confondere l’identità dei due ragazzi. Iniziamo così ad osservare per la prima volta il volto di Elwood e ad esplorare i dintorni dell’istituto attraverso due sguardi distinti. In questo senso l’approccio stilistico di Nickel Boys potrebbe essere l’esatto contraltare di Il figlio di Saul, un film dove lo spettatore è costretto a decifrare le espressioni del protagonista per scoprire qualcosa dell’ambiente circostante. Ross inizia a seminare qua e là diversi spunti e riferimenti come la missione dell’Apollo 8, oppure La parete di fango di Stanley Kramer con Tony Curtis e Sidney Poitier. Immagini che anticipano alcuni avvenimenti e stimolano la fantasia dello spettatore, collocati accanto ad alcune immagini di repertorio che raccontano la vera Dozier School. Non possono che rimanere impresse nella mente le disperate visite della nonna alla Nickel, in una delle quali si trova a dover chiedere un abbraccio a Turner in assenza del nipote. In quel caso la soggettiva di Turner finisce per schiacciarsi sul vestito della nonna così da occupare l’intero schermo e simulare un enorme abbraccio allo spettatore.

RaMell Ross riesce ad adattare un romanzo premio Pulitzer senza cadere nel didascalismo, privilegiando l’immagine rispetto al dialogo e caricando di significato il montaggio. Già questo non è poco, ma Nickel Boys ha il dono della poesia, in bilico continuo tra il ricordo e l’esperienza, nell’incertezza dello sguardo e la forza dello spirito.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)

Sentieriselvaggi21st n.19: cartacea o digitale


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