“Niente da dichiarare?”, di Dany Boon

 Il meccanismo (perfetto) che si inceppa è il nucleo ludico, le scene migliori sono quelle che tornano a mostrare la caducità degli automatismi. Decisamente più complesso e ambizioso, quindi più rischioso, del precedente, Niente da dichiarare mostra una certa mancanza di fluidità tra umorismo, azione, satira. Un meccanismo che però, se ben rodato, potrebbe in futuro risultare quasi micidiale

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 Sembra tutto giocato sul concetto di confine il terzo film di Dany Boon, che dopo La maison du bonheur e il fortunatissimo Giù al Nord decide di tornare al campanilismo, al razzismo e al nazionalismo, temi che sfortunatamente si prestano ad essere cavalcati sullo sfondo di un’attualità cieca alle chiavi comiche quanto a quelle drammatiche e documentaristiche. Ma il confine è solo un pretesto per l’esplorazione delle potenzialità e dei limiti della macchina comica di Boon, che rispetto a Giù al Nord osa di più e sembra ottenere qualcosa in meno. Una comicità che diventa innanzitutto più parlata, più verbale, dunque meno sonora e meno emotiva: la sceneggiatura, decisamente essenziale e (volutamente) ipersemplificata (come i personaggi, ad alcuni dei quali, soprattutto quello del burbero, esilarante, ma marginale anziano padre di Ruben, si sarebbe potuto dare più spazio e una vera chance), è puntellata non solo dalle (prevedibili) gag che coinvolgono a ripetizione i due doganieri protagonisti, ma soprattutto da una certa dose di cinismo. Un cinismo attento a chi riesce a percepirlo proprio rubando lo spazio e lo sguardo ai sentimenti che muovono la storia: al rapporto teneramente malato che lega Ruben, l’agente belga (Benoît Poelvoorde), al suo bambino (educato a forza di stereotipi e pregiudizi sui francesi), all’amore che rappresenta allo stesso tempo la massima gioia e preoccupazione per l’agente francese (Dany Boon), innamorato proprio della sorella del terribile e violento collega di (caduta) frontiera con cui si ritrova costretto a lavorare, il film contrappone poche, ma incisive battute (come quelle sul traffico di organi e sul divorzio) che ne sollevano il ritmo e ne lucidano quasi a nuovo la superficie culturale. Ma le acrobazie di scrittura e regia dell’autore, capace di far passare i suoi personaggi dalla barzelletta al reale nello spazio di un’unica scena, scompaiono davanti alla vera forza di questa pellicola, che potrebbe essere altrimenti vista come poco consistente (se non deludente) rispetto all’equilibrio e all’anima elegante di Giù al Nord. Una forza che sta nella capacità di risalire, per immagini e per situazioni, alla bergsoniana meccanicità come fonte primaria, forse eterna, del comico al di qua e al di là di ogni possibile confine e stereotipo. Il meccanismo (perfetto) che si inceppa è il nucleo ludico di Niente da dichiarare, dichiarato fin dalla prima scena, con un gioco di parole (che suona all’incirca come “bruciare le nostre

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donne/stuprare le nostre case”) in cui a saltare, ad essere rovesciata è, guarda caso, la sintassi. E non a caso le scene migliori sono quelle che, a intervalli quasi regolari, tornano a mostrare la caducità degli automatismi: la stampante nuova, simbolo dell’informatizzazione del vecchio ufficio dei doganieri, che si inceppa e continua a stampare carta straccia; l’enorme cellulare di prima generazione che non consente ai due protagonisti di comunicare per salvarsi da una pessima situazione; la preistorica Renault di servizio assegnata alla coppia belga-francese e la vettura fiammante che, finalmente sostituendola, cambia improvvisamente il corso delle cose, il tutto sullo sfondo di ben altri automatismi – le tristi scorciatoie cognitive che conducono tanto i doganieri a dire “Va bloccato tutto” riferendosi alla caduta delle frontiere europee annunciata dal giornale, quanto il belga protagonista a categorizzare il prossimo per stereotipi nazionali. Decisamente più complesso e ambizioso, quindi più rischioso, del precedente, Niente da dichiarare mostra una certa mancanza di fluidità che emerge dalla volontà di conciliare umorismo verbale, comicità fisica, azione (gli inseguimenti in auto), satira sociale e meta-cinematografica (la coppia di poliziotti). Un meccanismo che però, se ben rodato, potrebbe in futuro risultare quasi micidiale.

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Titolo originale: Rien à déclarer

Regia : Dany Boon

Interpreti : Dany Boon, Benoît Poelvoorde, Karin Viard, Olivier Gourmet, Jean-Paul Dermont

Distribuzione : Medusa

Durata : 105’
Origine: Francia, 2011

 

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