No Time to Die, di Cary Fukunaga

Trasuda romanticismo questo 007, costellato da icone e da superfici che vengono ferite, scalfite. Un mondo che va in frantumi, pieno di consapevole e ineluttabile malinconia. In sala da domani

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Abbiamo tutto il tempo del mondo” dice all’inizio Bond alla “sua” Madeleine. Ma il tempo non è mai abbastanza. Per vivere. Per amare. Per morire. Ne sa qualcosa Felix Lauter, l’amico americano di 007, quando gli domanda: “È la vita migliore?” “Sì è la migliore” risponde James. Anche se per esserne certi non basta avere la licenza di uccidere, ma anche quella di poter dire, almeno per una volta, “Ti amo”. Già. Trasuda romanticismo questo Bond 25. E le struggenti note di We have all the time in the world di Louis Armstrong sui titoli di coda certificano il costante dialogo tra questo No Time to Die e Al servizio segreto di Sua Maestà del 1969, l’altro film del Bond “innamorato”, interpretato dallo sfortunato George Lazenby ma di fatto uno dei capolavori della saga.

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Si inizia con un “film nel film” che racconta già tutto ed espone linee tematiche e visive: il lungo prologo (20’) mette insieme flashback, love story, azione, conflitti interiori e lo fa relegando l’eroe quasi in secondo piano rispetto alla donna. Con una chiosa alla stazione dei treni che sembra un film di Lelouche. Insomma il cuore pulsante e i segni della “rivoluzione” arrivano ancor prima che Billie Eilish canti “I should have known, I’d leave alone” nella title track e che il volto cicatrizzato di Rami Malek faccia la sua entrata in scena con l’arma segreta Heracles, un veleno terribile che contagia le persone e le uccide in base al DNA (andare subito alla voce preveggenze/iperstizioni dell’immaginario sulla realtà please).

Ovviamente siamo di fronte a uno dei capitoli cruciali della serie, che porta a compimento il processo di ricostruzione del personaggio incarnato da Daniel Craig a partire da Casinò Royale, processo poi accelerato dagli innesti freudiani e arty nei mendesiani Skyfall e Spectre. Ricostruzione o decostruzione? Per la prima è necessaria la seconda sembrano volerci dire l’americano Cary Fukunaga e gli sceneggiatori Neal Purvis e Robert Wade, a cui si aggiunge il determinante tocco femminile della Phoebe Waller-Bridge di Fleabag. Ecco allora il Bond più devirilizzato di sempre. Che a volte viene addirittura salvato dalle “sue” Bond girl. Fantastica in tal senso la Paloma di Ana de Armas nell’episodio a Cuba. Entra ed esce dal film come un’apparizione, muscolare e autoironica allo stesso tempo. E poi c’è il secondo 007, l’alter ego femminile incarnato dalla giamaicana Lashana Lynch, quasi una versione ucronica dell’agente segreto in chiave #metoo e #blacklivesmatter, a cui non a caso viene affidata l’uccisione più liberatoria e “politica” del film.  

No Time to Die è fatto di continui ribaltamenti tra amici e nemici, vittime e carnefici, location vecchie e nuove, codici sessuali e generi cinematografici. La bulimia erotica del macho viene assorbita dalla bellezza sentimentale di Madeleine/Léa Seydoux e dalle tinte giallo-arancio che accompagnano le scene di coppia di un mélo che sembra quasi cimentarsi in una prova di forza con le scene action contrattuali “alla Bond”: l’impossibile inseguimento pirotecnico per i vicoli di Matera, la sequenza tra la nebbia nel bosco girata con la macchina a spalla, le assordanti soggettive acustiche dopo le esplosioni (di “maniera”, eppure attenzione: inedite per Bond, quasi a suggerire una nuova vulnerabilità del personaggio). 

Ma in fin dei conti quello di Fukunaga è soprattutto un film di bellissimi tramonti. Pieno di consapevole e ineluttabile malinconia. Costellato da icone e da superfici che vengono ferite, scalfite. Come le lastre di ghiaccio che si rompono all’inizio o i finestrini della Aston Martin brutalizzati dai proiettili. Quasi a voler dire che, per ricominciare da capo, oggetti, eroi e cinema vanno fatti a pezzi. Così, inesorabilmente, il vecchio mondo va in frantumi. E a James Bond non rimane che essere un nome. Il nome di una storia da tramandare da madre in figlia. Abbiamo (ancora) tutto il tempo del mondo?

 

Titolo originale: id
Regia: Cary Fukunaga

Interpreti: Daniel Graig, Léa Seydoux, Rami Malek, Lashana Lynch, Christophe Waltz, Ana de Armas, Ralph Fiennes
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 165′
Origine: USA, UK 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.71 (17 voti)
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