Noi due, di Nir Bergman

C’è una sottile disperazione ma anche una contagiosa leggerezza in questo road-movie israeliano sul rapporto padre-figlio, ispirato a un documentario familiare della sceneggiatrice Dana Isidis.

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Non sono fratelli come Rain Man. Noi due è invece la storia di un padre e un figlio. E a differenza del film con la coppia Dustin Hoffman-Tom Cruise, il loro legame viene mostrato spesso per sottrazione, attraverso la complicità dei loro sguardi o l’abitudine dei gesti e passion ricorrenti: la pasta con le stelline, i pesci nell’acquario, Charlie Chaplin e Gloria di Umberto Tozzi.

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Tel Aviv. Aharon, un ex-disegnatore di talento, ha rinunciato a tutto per occuparsi di Uri, il figlio ventenne autustico. La loro routine non sembra cambiare mai fino a quando l’ex-moglie Tamara ha deciso che il ragazzo, ormai adulto, deve interagire con gli altri in un istituto specializzato. Aharon fa di tutto per non separarsi dal figlio e anche Uri è terrorizzato dall’idea di un cambiamento. Cosa fare? Accettare la nuova realtà o progettare la fuga?

C’è una sottile disperazione ma anche una contagiosa leggerezza con cui Nir Bergman mostra il rapporto tra padre-figlio, resi efficacemente dall’interpretazione di Shai Avivi nei panni del padre e da Noah Imber, che è un attore professionista, in quelli del figlio che fanno crescere il loro rapporto alla distanza, anche attraverso piccoli gesti descritti attraverso un realismo intimo teso alla ricerca della verità del loro rapporto. Diretto da Nir Bergman, regista al quinto lungometraggio che è stato anche tra gli sceneggiatori di BeTipul, la serie israeliana che ha ispirato In Treatment, Noi due cattura quello che stanno provando i protagonisti anche soltanto attraverso un’inquadratura di spalle di Aharon mentre il figlio sta andando via o lo sguardo del padre che guarda il figlio mentre sta saltando sulle note di Gloria al luna-park dopo averlo smarrito. È un road-movie che ha una destinazione precisa, ma è anche pieno di improvvise deviazioni e lascia anche l’illusione di un’improvvisazione. Dietro invece c’è la solida scrittura di Dana Isidis che si è ispirata al rapporto tra il padre e il fratello autistico che poi è anche al centro del suo documentario familiare Seret Bar Mitzvah (2013). In quel film c’è soprattutto una scena molto dura che è quella in cui il figlio autistico si rifiuta di andare a scuola su cui è stata costruita quella centrale della crisi di Uri alla stazione. Lì Bergman, più che la reazione del ragazzo, mostra l’imbarazzo ma anche la volontà di aiutare in qualsiasi modo il figlio di Aharon e l’indifferenza della gente che passa. Il cineasta non cerca il coinvolgimento a tutti i costi anche se, inevitabilmente, si sofferma sul dettaglio degli occhi lucidi del padre, o sottolinea in maniera fin troppo scoperta un rapporto che richiama direttamente quello tra il bambino e Charlot in Il monello dove il primo rompe i vetri e l’altro corre subito a ripararli. Riesce invece a lasciare la storia in uno stato di continua incertezza, cercando la distanza ma anche gli avvicinamenti di Manchester By the Sea che probabilmente ha influenzato Noi due anche per il grigio ricorrente della fotografia.

È un film rigoroso ma anche vitale e luminoso che tocca le corde giuste e non cerca vie complicate. Ed è proprio nella sua semplicità che il rapporto tra i protagonisti di Noi due, tra i titoli della selezione ufficiale del Festival di Cannes 2020 sotto pandemia, lascia immaginare anche tracce del loro passato e apre squarci sul loro futuro come mostra un finale che, in linea con gran parte del film, ha il dono della misura.

 

Titolo originale: Here We Are
Regia: Nir Bergman
Interpreti: Shai Avivi, Noah Imber, Smadi Wolfman, Efrat Ben-Zur, Amir Feldman, Sharon Zelikovsky, Natalia Faust, Uri Klauzner
Distribuzione: Tucker Film
Durata: 94′
Origine: Israele Italia, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
3.13 (8 voti)
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