"Non aprite quella porta: l'inizio" di Jonathan Liebesman

Andremo forse contro i puristi e i fan dell'originale hooperiano, ma a noi questo “Non aprite quella porta: l'inizio”, è piaciuto, merito forse della sinergia dei produttori Hooper e Bay, che benché essendo agli antipodi in quanto a idea di cinema, qui riescono a far convergere e contaminare la loro personale visione.

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A tre anni dal remake del capolavoro di Tobe Hooper torna  Leatherface "faccia di cuoio" con la sua motosega per perpetrare nuovamente massacri e versare fiumi di sangue di giovani vittime innocenti. Questa volta si tratta di un prequel: veniamo a conoscenza della nascita del mostruoso Thomas e della antropofaga famiglia Hewitt. Al timone della regia non più Marcus Nispel che a suo tempo aveva diretto con diligenza il remake, ma Jonathan Liebesman, qui al suo secondo film, dopo l'esordio di Al calar delle tenebre. L'incipit è pressoché identico ai predecessori. Siamo nel 1969 e due fratelli in procinto di partire per il Vietnam (ma uno dei due non è convinto) con le rispettive fidanzate fanno un viaggio on the road per rilassarsi prima di indossare la divisa dei marines. Un incidente di macchina però rovinerà loro i piani  facendogli conoscere la terribile famiglia cannibale. Andremo forse contro i puristi e i fan dell'originale hooperiano, ma a noi questo Non aprite quella porta: l'inizio, è piaciuto, merito forse della sinergia dei produttori Hooper e Bay, che benché essendo agli antipodi in quanto a idea di cinema, qui riescono a far convergere e contaminare la loro personale visione, affidando la regia ad un giovane e promettente regista. Ed i risultati sono evidenti perché nella pellicola si vede il "marchio" sia di Bay che di Hooper: del primo notiamo il ritmo vertiginoso delle inquadrature e del montaggio, mentre del secondo l'ironia beffarda e le atmosfere malate che avevano caratterizzato il prototipo del 1974. Liebesman poi sembra essere in perfetta sintonia con i due produttori, girando con piglio sicuro, veloce e potremmo aggiungere, pulito nel suo andamento. Il lungometraggio infatti scorre via liscio come l'olio, dove la millimetrica linearità del racconto concatena nel miglior modo possibile il susseguirsi delle sequenze: il film non gira mai e vuoto e non inciampa in pause di noia e banalità. Il ritmo è sempre sostenuto, la ricostruzione storica degli anni sessanta americani è pressoché perfetta (a tratti si respira persino una certa atmosfera Easy Rider) e le sequenze squisitamente gore non scarseggiano di certo. A mancare forse è il contenuto sociologico che nell'originale tratteggiava il disagio esistenziale di una generazione che non aveva – e non trovava – più punti di riferimento all'interno della società statunitense; ma quel che conta qui è la messinscena, la fotografia sgranata e sporca, il senso di malessere e di ineluttabilità del destino che non risparmia, in fondo, nessuno, una via di salvezza che nel finale, a suo modo tragico per entrambe le parti in causa, vittime e carnefici, non viene concessa (mentre nel film di Hooper un leggero spiraglio, un raggio di luce tra le maglie di quel terribile massacro si intravedeva).

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Titolo originale: The Texas Chainsaw Massacre: The Beginning


Regia: Jonathan Liebesman


Interpreti: Jordana Brewster, Taylor Handley, Diora Baird, Matthew Bomer, Cyia Batten, Andrew Bryniarski, L.A. Calkins, Tim De Zarn
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 84'


Origine: USA, 2006

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