"Non è un film sull'aborto. Volevo solo raccontare una storia vera". Parla Cristian Mungiu

Cristian_Mungiu_Anamaria_MarincaVincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2007, Cristian Mungiu ha presentato a Roma il suo film 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, in uscita il 24 agosto nelle sale italiane in anteprima mondiale. GALLERIA FOTOGRAFICA

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Reduce da una vittoria annunciata e non priva di polemiche, il regista romeno Cristian Mungiu ha parlato del suo film, dell’aborto, del regime Comunista e soprattutto del suo principale interesse: raccontare storie vere.

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Laura_Vasiliu_Anamaria_MarincaNel suo film viene affrontato il tema dell’aborto. Cosa spinge le due protagoniste a considerare questa come l’unica soluzione possibile?

La storia di Gabita e Otilia è ambientata negli ultimi anni della dittatura comunista in Romania. Si trattava di una società davvero molto conservatrice. Non doveva essere facile per una ragazza giovane e non sposata avere un figlio. A quell’epoca io avevo 21 anni e ricordo che avere un figlio al di fuori del matrimonio era un’ipotesi da non prendere neanche in considerazione. L’unica opzione era proprio quella di ricorrere ad un aborto, che per altro era proibito dalla legge.

Lo scopo del film non è certo quello di analizzare le ragioni che hanno spinto le due protagoniste a scegliere questa soluzione, ma è un modo per raccontare cosa succedeva all’epoca. E visto che oggi le cose fortunatamente sono cambiate, mi è sembrato opportuno raccontare com’era la situazione allora, far capire che le circostanze politiche ed economiche ti portano a fare delle scelte che oggi potrebbero essere sicuramente diverse.

 

Dunque non è un film sull’aborto…

In un film come il mio non è possibile raccontare tutte le complessità di un Paese, come d’altra parte è difficile anche raccontare tutte le complessità legate alla tematica dell’aborto in quegli anni. Io ho semplicemente voluto raccontare una storia personale. Esiste un documentario che si intitola “Children of the Decree” che mostra cosa accadeva a quelle povere madri che decidevano di tenere il proprio figlio, che gli veniva comunque strappato per essere messo in un istituto. Non si trovava neanche il latte e tutti avevano una tale difficoltà di sopravvivenza che nessuno avrebbe pensato di mettere al mondo un figlio quando non riusciva a trovare da mangiare neanche per sé.

 

All’interno del film c’è un’inquadratura del feto. Da cosa è dipesa questa scelta?

Durante le riprese non avevo ancora deciso se utilizzare o meno questa inquadratura, ma l’ho ripresa ugualmente. Solo in fase di montaggio ho capito che era necessario inserirla nella scena. Non volevo essere provocatorio. Volevo raccontare una storia vera, una storia toccante che mi era stata raccontata a sua volta dalla persona che l’ha vissuta. Quello che mi aveva colpito molto era il fatto che per tutto il tempo in cui le due ragazze parlano dell’aborto si tratta di un qualcosa di teorico e di astratto. Nel momento in cui si vede questo feto però ci si rende conto dell’umanità di questo piccolo essere. E volendo raccontare una storia vera, non potevo omettere questa inquadratura.

 

Anamaria_MarincaCome mai invece è stata tagliata la scena in cui arrivano i genitori di Gabita? Voleva enfatizzare l’incontro di Otilia con i genitori del suo fidanzato?

No, non è questo il motivo. Quando ho scritto il film volevo raccontare la storia di queste due ragazze, Otilia e Gabita e mi piaceva molto l’idea di inserire la visita dei genitori di questa. Ho anche girato la scena perché volevo mostrare l’educazione che questa ragazza aveva ricevuto, il suo background: si sarebbe capito come Gabita era stata cresciuta da due persone molto carine, che però, come i usava allora, mai si sarebbero spogliate davanti ai figli, né avrebbero parlato di sesso o di religione. Questo avrebbe contribuito a spiegare perché questa ragazza decide di sbrigarsela da sola. Poi però il film è diventato molto di più la storia di Otilia, o meglio la storia vista attraverso la sua soggettività. A quel punto quella scena non era più coerente con lo sviluppo del film, ma siccome è molto bella penso che si troverà all’interno del dvd.

 

Questo film fa parte di un progetto più ampio dal titolo Tales from the Golden Age, di cui lei è produttore. Come nasce l’idea?

Io preferisco sempre raccontare storie vere o comunque storie che mi sono state raccontate da persone che conosco, piuttosto che inventare dal nulla. Fin dall’inizio, quello che avevo scelto di fare non era un lungometraggio, ma un insieme di cortometraggi che raccontassero storie vere accadute in quel periodo. La mia intenzione era quindi di fare un film sui giovani dell’epoca, non sulla dittatura comunista, perché questo implicherebbe un giudizio sul governo dell’epoca, che credo interessi poco oggi come oggi al pubblico. Ero interessato a scrivere storie personali ambientate in quel contesto storico e politico che assumeva rilevanza in quanto incideva sulle situazioni che le persone dovevano affrontare.

Anche questo film per me non è un film sull’aborto, ma su due giovani ragazze che devono prendere una decisione difficile e sulla responsabilità che questo comporta.

Le storie che volevo raccontare erano storie vere e leggende metropolitane che circolavano, che finiscono poi per dipingere anche il lato un po’ buffo del vivere durante il regime comunista, non erano soltanto storie tristi e cupe. A volte erano storie anche un po’ banali, come quella di un camionista che trasportava dei polli vivi da una città all’altra e doveva percorrere centinaia di chilometri e che aveva l’ordine di non fermarsi mai. Dopo anni in cui guidava per ore e ore senza sosta un giorno decide di fermarsi  scoprire perché. Uno di questi film, di cui io sono produttore, è stato girato parallelamente a 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e dovrebbe essere pronto tra poco. Ma, ripeto, non sono storie sul Comunismo, sono film su una certa gioventù che ha vissuto nel contesto di quegli anni.

 

Cristian_Mungiu_Anamaria_MarincaQual è stata la sua esperienza durante quegli anni?

Come ho detto, avevo 21 anni, ero molto giovane. Nessuno di noi avrebbe mai pensato che il Comunismo sarebbe finito. Quella era la nostra vita, affrontavamo i problemi che c’erano e cercavamo di vivere normalmente. Per questo motivo ho scelto di raccontare una storia da un punto di vista interno, dalla prospettiva cioè di chi la vive e l’ha vissuta: due ragazze che davanti ad un problema cercano una soluzione. Non ci sono mai riferimenti diretti al Comunismo alla dittatura o a Ceausescu, perché per noi quella era la quotidianità. Certo avevamo notevoli difficoltà economiche, era difficile trovare qualunque cosa, dalle sigarette, allo shampoo, la saponetta, era tutto mercato nero.

 

L’aborto era vietato nonostante il regime comunista fosse ateo. Dunque quali potevano essere le ragioni per vietarlo se non erano religiose?

La legge era stata promulgata nel 1966 da Ceausescu ed è vero, non c’era nessun motivo religioso. Quando ho deciso di girare questo film ho fatto qualche ricerca e ho trovato due ragioni. Una era di tipo economico: affinché l’economia crescesse ci sarebbe stato bisogno di una grande popolazione giovane e forte che fornisse mano d’opera, quindi c’era bisogno di molte nascite. L’altra motivazione era di tipo ideologico: la nascita e la crescita di un nuova generazione che venisse educata secondo i valori del Socialismo e del Comunismo.

 

Inoltre in Romania ancora oggi l’aborto è considerato l’unico contraccettivo…

Sì, purtroppo è vero. Eppure, se un tempo l’aborto era l’unica soluzione, oggi le leggi sono cambiate: la popolazione può accedere ai metodi contraccettivi, all’informazione, all’istruzione. Questo significa che non stiamo facendo nulla per insegnare alle persone che non esiste solamente l’aborto.

 

È vero che vorrebbe ambientare il suo prossimo film nella Romania di oggi?

Ancora non lo so. Io non so di che cosa parleranno i miei film finché non comincio a scrivere la sceneggiatura, finché non mi imbatto cioè in una storia interessante. E in questo momento ho bisogno di un po’ di tempo per capire quale sarà la prossima storia che racconterò.

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