Non sono mai tornata indietro, di Silvana Costa

Opera prima. Costa dirige un documentario semplice ma rigoroso su una storia davvero toccante, e ci interroga sulle prigioni mentali provocate da un passato doloroso. Oggi al MedFilm Festival

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La regista Silvana Costa utilizza il cinema come strumento della memoria, un mezzo per fotografare in maniera indelebile una storia che altrimenti andrebbe persa nelle pieghe del tempo. Il documentario dal titolo Non sono mai tornata indietro racconta una storia che appare antica, figlia di un’altra generazione così lontana da noi ma che è in realtà molto più vicina di quanto potremmo immaginare. La protagonista è Iolanda, una delle ultime testimoni di un’usanza arcaica che ha rappresentato per secoli la netta disparità sociale nel Sud Italia. Bambine provenienti da povere famiglie contadine venivano cedute come delle “merci” a famiglie benestanti in cambio di cibo e un tetto. Iolanda ha vissuto dagli 8 ai 44 anni nella famiglia calabrese della regista, prima di fuggire in Canada in cerca di una libertà tanto agognata. Era una persona di famiglia ma con un ruolo subalterno, un’identità liminare, che oscillava tra l’amore e l’odio, tra ribellione e accettazione. Dopo una vita trascorsa a fare da donna di servizio e tata della regista e dei suoi fratelli, Iolanda è partita alla scoperta di un nuovo mondo nonostante non avesse alcuno vero strumento di comprensione. Silvana Costa decide in questo modo di ricostruire la storia universale di un’emigrata che, come tante altre prima di lei, sono rimaste imprigionate in un passato di sofferenze.

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Non sono mai tornata indietro pone fin da subito Iolanda al centro dell’inquadratura e del racconto, per la prima volta è lei la protagonista della storia mentre la regista ne resta ai margini ma comunque presente con la propria voce. Costa sa bene di ricoprire un ruolo dominante sull’oggetto del suo sguardo, sia per classe sociale sia in qualità di regista, proprio per questo si impone di annullare il più possibile la propria influenza tentando di essere la più oggettiva possibile. Il volto di Iolanda si fonde con quello di tante altre donne in altrettanti filmati d’epoca, storie e testimonianze si sovrappongono in una composizione molto suggestiva che riesce a restituire un’idea della condizione femminile di quel periodo. Fin dal principio si percepisce il desiderio della regista di dare voce a chi nella propria esistenza non ne ha mai avuta, ma non è essenziale dare un volto a quelle parole, l’importante è che siano ascoltate. Costa accarezza i volti delle sue testimoni con primi piani rispettosi da cui traspare grande dolcezza, non oltrepassa i confini personali come non cerca alcun estetismo di sorta. Seguendo Iolanda nella sua nuova vita canadese veniamo a conoscenza delle varie difficoltà che ha dovuto affrontare da quando molti anni prima ha deciso di fuggire dall’Italia. Dopo la morte della nonna della regista, in un certo senso la “matriarca” della famiglia, Iolanda ha sentito la necessità di trovare la sua strada ed ha deciso di andare in Canada. Rimasta vedova di un primo marito, del quale vediamo qualche tenero stralcio di un filmino casalingo, Iolanda ha subito umiliazioni e raggiri da parte di presunti amici di famiglia. “Nella sua vita tutti si sono approfittati di lei”, dice il nuovo marito con toccante istinto di protezione. Sta tutto qui il dramma del passato di Iolanda, fin da bambina è stata obbligata a subire quando di natura è sempre stata ribelle e ostinata a modo suo. Non ha mai potuto studiare e questo non le ha mai realmente permesso di emanciparsi, “il mio unico rimpianto è essere analfabeta” confessa a Silvana.

Ma il vero cuore del documentario è il ritorno a “casa” di Iolanda dopo trent’anni di lontananza. La più classica delle illusioni per un emigrato è idealizzare il Paese di nascita, sognare un ritorno in grande stile come rivincita personale per trascorrere gli anni della vecchiaia in comodità. Per molto tempo il sogno di Iolanda è stato quello di comprare una bella casa sul mare di Vibo Valentia, ma una volta tornata in paese ha capito che quella non era più casa sua. Tutto è cambiato, le persone, le case, ma soprattutto è lei a non essere più la stessa. In un confronto illuminante con una vecchia signora del paese si nota la differenza abissale tra due modi di pensare ormai inconciliabili. La salvezza di Iolanda è stata scappare da quella situazione di oppressione per ricercare una propria autodeterminazione che l’ha proiettata nel mondo libero. Non sono mai tornata indietro è il titolo più adatto per raccontare la vita di Iolanda, una donna che ha affrontato mille avversità con una forza impressionante senza mai pentirsi delle sue scelte: “Questa volta comando io, e basta!”.

Alla sua opera prima da regista, Silvana Costa dirige un documentario semplice ma rigoroso su una storia davvero toccante, lasciando allo spettatore la possibilità di interrogarsi sulle prigioni mentali provocate da un passato doloroso.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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Il voto dei lettori
3.29 (7 voti)
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