Non toccare la donna bianca, di Marco Ferreri

Gioco mascherato e allucinatorio che racconta la storia di ogni popolo oppresso, partendo dalla demolizione del genere western. Il film più libero e incondizionatamente politico di Marco Ferreri

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Un ristretto gruppo di intellettuali aristocratici discute della posizione elitaria della loro razza rispetto a quella infima e bastarda del popolino, dei poveracci. Serve una presa di posizione decisa e risoluta in favore del progresso, “lo sterminio di uomini donne e bambini” poiché “più ne ammazziamo quest’anno e meno dovremo ammazzarne l’anno venturo”. Bisognerà muoversi con grande discrezione, basta ricordarsi del Watergate dopotutto, per questo motivo l’unico modo è affidare il compito al generale Custer, un esperto in materia di genocidi. L’incipit assurdo di Non toccare la donna bianca è già di per sé il manifesto del film di Marco Ferreri, la sua opera più libera e incondizionatamente politica, senza contare l’inchiesta televisiva Perché pagare per essere felici?. Tutto nasce quando il comune di Parigi decide di abbattere lo storico mercato di Les Halles nel primo arrondissement con lo scopo di costruire un centro commerciale sotterraneo, in nome del progresso economico e a discapito della storia del quartiere. Nel ristretto margine di tempo tra la distruzione e la ricostruzione, Ferreri decide di sfruttare quel colossale buco nel centro di Parigi per mettere in scena la storia universale di un genocidio in chiave western. Soldati americani contro pellerossa. Il generale Custer contro Toro Seduto. Uno scontro ideale che ha contribuito a creare l’immaginario cinematografico con cui sono cresciute intere generazioni. “Non è l’Arizona che fa il western, ma le idee”, scriverà l’autore nella prefazione della sceneggiatura pubblicata per Einaudi. L’idea di Ferreri è raccontare la storia di ogni sopruso, di ogni popolo schiacciato e di ogni proletario oppresso. Quel buco nel centro di Parigi diventa così la fossa dei leoni nel Colosseo, il Grand Canyon, lo stadio di Santiago del Cile e ogni luogo di esecuzione di massa. Secondo Ferreri, il western si trova dappertutto, è un’illusione di forza, un generatore continuo di idee e situazioni di dominio violento e distruttivo. Uno spazio in cui il dominatore bianco, borghese e militare vincerà sempre sul popolo oppresso, finché non ci sarà un rovesciamento del potere. Il western viene così prima ridicolizzato e poi ribaltato, smontato dall’interno e rinchiuso in un nonluogo in demolizione.

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Rispetto ai film precedenti ed in parte anche ai successivi, al centro di Non toccare la donna bianca non c’è il corpo ma lo spazio, la città. Anche in questo caso però il regista pone grande attenzione all’immagine dei suoi personaggi/attori, stilizzati all’inverosimile fino a scomparire in maschere codificate del genere western. La banda di La grande abbuffata, antecedente di un solo anno, torna al gran completo in un divertente gioco mascherato e familiare. Se Marcello Mastroianni e l’allora compagna Catherine Deneuve sono rispettivamente Custer e la sua amata Marie-Hélène, Philippe Noiret interpreta il generale Terry, mentre Tognazzi con moglie e figlio (Gianmarco) sono una famiglia di pellerossa vicina ai soldati americani. Fin dal primo momento agli attori è richiesta la ripetizione ossessiva di pose e atteggiamenti grotteschi, come la lunga chioma posticcia di Mastroianni/Custer e il ridicolo pigiama rosso con cui Noiret/Terry accoglie i quattro “teorici del massacro”. La parodia esilarante del Buffalo Bill di Michel Piccoli aggiunge un elemento da teatro di varietà in una vicenda già ridicola di per sé, ma soprattutto centra un altro tema cardine della filmografia ferreriana: la crisi della mascolinità. Il maschio del mito western è morto. La crisi isterica di Custer per il pettine perduto e il piccolo beagle sul letto di Terry lo confermano. Tutto è messo in scena in maniera grottesca e demenziale, ai livelli dei Monty Python in Gran Bretagna e degli ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) negli Stati Uniti. Non c’è alcun riguardo verso la ricostruzione storica, la vicenda viene completamente svincolata dalle mere questioni cronologiche. Un manifesto con l’immagine di Nixon compare nella stanza di Terry mentre il viso di Kennedy è disegnato sui pantaloni di un pellerossa. Sul set la troupe si è limitata a bloccare il traffico, in questo modo l’arrivo di Custer a cavallo per le vie del centro viene osservata da una serie di curiosi parigini che la cinepresa non esita a mostrarci. Paolo Villaggio, nella sua unica collaborazione con Marco Ferreri, è il professore di antropologia Pinkerton, un omino in felpa e jeans con le mani costantemente infilate in un sacchetto di patatine. Si scoprirà essere un agente infiltrato dalla CIA con il compito di seminare zizzania tra soldati e pellerossa. Le sue prossime destinazioni? Italia e Cile. Uno straniamento totale, una vertigine allo stesso tempo spaziale, antropologica e temporale. Così, nella mitica battaglia finale tra Custer e Toro Seduto si consuma un doppio sacrificio, quello del western e quello dello spazio parigino. Distruzione e trasformazione, come da prassi nel cinema di Marco Ferreri. L’invasore è annientato e il popolo ha avuto la sua vendetta, ma il progresso non può essere arrestato e mentre la cinepresa si alza allargando l’inquadratura, i pellerossa si dirigono verso la città pronti per la prossima battaglia.

Titolo originale: Touche pas à la femme blanche
Regia: Marco Ferreri
Interpreti: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Michel Piccoli, Catherine Deneuve, Paolo Villaggio, Serge Reggiani, Henri Piccoli, Alan Cuny
Durata: 108′
Origine: Francia, Italia, 1974

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
4 (3 voti)
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