Nosferatu, di Robert Eggers

Il remake del capolavoro di Murnau è un film “vivo”, che dietro il suo pericoloso formalismo non ha paura di farsi male e di immergersi nella sua materia nera, nel suo erotismo perverso e terminale.

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Robert Eggers sin da bambino era ossessionato dai vampiri. Ha visto per la prima volta il Nosferatu di Murnau (1922) quando aveva nove anni, in un precario formato VHS e da allora, come ha più volte dichiarato pubblicamente, ne è rimasto ossessionato. Probabilmente se oggi Eggers è riconosciuto, dopo una manciata di film, come un regista “visionario” — dall’industria cinematografica e dalla critica anglosassone soprattutto — e come uno dei principali esponenti del cosiddetto elevated horror, lo si deve anche a questa “visione” fanciullesca e primordiale del capolavoro di Murnau. Tornare sul luogo del “delitto”, sull’elaborazione dell’innamoramento gotico e onirico della “prima volta”, è un atto d’amore esplicito, dichiarato, che serve a ribadire questa pesante filiazione, un rapporto di sudditanza nei confronti del maestro Murnau e più in generale verso il cinema del passato quasi insostenibile e che sostanzialmente accomuna Eggers alla maggior parte dei cineasti americani sotto i cinquant’anni. Insomma per un Paul Thomas Anderson ossessionato dal rifare, a modo suo, Altman o John Huston, o un Todd Phillips che passa da Scorsese a Minnelli, perché non avere un Eggers che rifà, a modo suo, Lynch o, appunto, Murnau (ed Herzog). Questo non è un problema. Da decenni sappiamo che tutto è già stato fatto, eccetera eccetera. Ma ormai abbiamo capito una cosa: se un tempo i cineasti di maggior talento avevano l’ambizione di cambiare e rivoluzionare il cinema, quelli di oggi — i migliori? qui la partita è aperta! — vogliono mantenerlo, preservarlo, il cinema.

E quindi eccoci al cospetto di una Storia che più o meno già tutti conoscono. Germania 1838, città di Wisborg. Il giovane avvocato Hutter, appena sposo di Ellen, riceve l’incarico di recarsi in Transilvania per chiudere un affare immobiliare con l’oscuro conte Orlok, da anni misteriosamente recluso in un castello. Presto scopre che il conte è un vampiro ed è ossessionato da Ellen.

Volendo essere molto severi (e superficiali), quello di Eggers potrebbe essere un film inutile. Inerte come la maggior parte delle cose che vengono prodotte e realizzate oggi, peraltro. Ciò non toglie che sia anche un film affascinante e a suo modo meraviglioso. Perché? La questione più interessante è proprio nella sua esposta fragilità, nella sfida impari con cui un regista poco più che quarantenne, al suo quarto film, si ostina a misurarsi, soprattutto nella prima ora, con le sequenze di Murnau, Herzog e dello stesso Dracula di Coppola provando a trovare una sua strada, una sua cifra, un suo film. Per certi versi Nosferatu è un elaborato freudiano e magnificamente sincero per come sistematizza, nei suoi 140′ di durata, la fatica di liberarsi dal Padre — l’inarrivabile cinema del tempo che fu — per ucciderlo e diventare finalmente qualcos’altro, un Figlio/Autore. Eggers, a scapito del suo ostentato e pericoloso formalismo estetizzante, che rischia a tratti di impantanarsi in una noiosa monocromia, mette tutto se stesso in questo conflitto e alla fine, bisogna ammetterlo, lo trova eccome il “suo” film. Magari più un Frankenstein che un Nosferatu. Una creatura deformata, fatta di pezzi e innesti che riesce, dopo vari tentativi, ad avere consapevolezza del suo corpo e della sua ragione d’essere.

Se non bello, il Nosferatu di Eggers è un film “vivo”. Che si immerge nella sua materia nera, nella magia, nel desiderio del Male, in aperta antitesi con i calcoli della razionalità scientifica che l’autore si diverte a confutare. Siamo così sicuri che, dietro la pratica del “rifacimento”, il film di Eggers non sia anche una messa in scena esorcistica della “peste” del Covid o delle leggi dell’algoritmo? Piaccia o meno, Nosferatu è contro il mondo contemporaneo. È un atto di resistenza naif, che non ha paura di farsi male. Inizia giocando a nascondino con le ombre cinesi per poi generare una sostanza barbara e abbandonarsi a un erotismo malato, perverso, straziante, terminale. Finalmente.

Titolo orginale: id.
Regia: Robert Eggers
Interpreti: Lily Rose Deep, Nicholas Hoult, Bill Skarsgård, Willem Dafoe, Aaron Taylor-Johnson, Emma Corin, Simon McBurney, Paul A Maynard, Stacy Thunes
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 132′
Origine: USA, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
3.16 (32 voti)

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