Nothing, Forever. La prima serie interamente generata da un’intelligenza artificiale

Creata grazie alla combinazione di algoritmi e sistemi di apprendimento automatizzati, potrebbe rivoluzionare il futuro dell’audiovisivo, oltre alla sua sostenibilità. E gli esempi non si fermano qui

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In un appartamento borghese nel centro di New York, quattro coinquilini conversano del più e del meno: li vediamo discutere di vicissitudini quotidiane, di sport o delle nuove offerte Amazon. Nella struttura, come nel setting, tutto parrebbe replicare le classiche sit-com americane degli anni ’90. Eppure quello che ci troviamo davanti non è un mero revival in salsa 21st Century di serie come Friends o Frasier, ma il principio – o meglio, l’incursione nel continuum infinito – di Nothing, Forever, un prodotto seriale realizzato interamente attraverso l’uso di sistemi di intelligenza artificiale.

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Sul solco delle stesse chat online (come ChatGPT) che si servono di tecnologie di comunicazione omologhe, anche Nothing, Forever è contraddistinto da logiche informatiche senza limiti di durata o estensione. Trasmessa in live streaming su Twitch dal 14 dicembre dello scorso anno, la serie – di fatto – ri-mette in scena sotto forma di pixel sagomati i protagonisti di Seinfeld (la celebre sit-com ideata dal comico Jerry Seinfeld nel 1989), inserendoli così in un contenitore – almeno idealmente – illimitato, in relazione sia alla forma che al contenuto.

Nothing, Forever, infatti, non presenta una scansione in episodi o stagioni, né tanto meno segue uno specifico canovaccio narrativo. Più l’intelligenza artificiale acquisisce informazioni sui personaggi e sui mondi diegetici da loro abitati, più la narrazione si espande, in un moto perpetuo che ben si adatta – si fa per dire – alle espressioni di immediatezza comunicativa tipica dei testi su cui la stessa piattaforma di streaming crea e codifica i suoi contenuti. Ma per quanto la serie sia capace di sviluppare un racconto coerente e narrativamente espanso nel tempo, lo stesso non si può affermare per il modo in cui mette in scena le storie. Ai dialoghi talvolta insensati e privi di continuazione logica, corrisponde infatti una continua (e non ricercata) rottura dei raccordi di sguardo, con i personaggi che spesso comunicano tra loro senza guardare nella direzione corretta.

Ma la serie non è senza i suoi meriti. Attraverso una combinazione di algoritmi, sistemi di apprendimento automatizzati e servizi di cloud, supportati simultaneamente dal (più che avanzato) modello linguistico GPT-3, Nothing, Forever affida al processo di automazione la codificazione di ogni aspetto espressivo, dai dialoghi alla grammatica filmica, fino all’animazione dei singoli movimenti. Un procedimento che, nelle parole del co-creatore Skyler Hartle, rende conto delle traiettorie evolutive che “i media auto-generativi e le intelligenze artificiali hanno intrapreso negli ultimi anni”.

Il nostro obiettivo” afferma sempre Hartle “è quello di realizzare un progetto che abbia la stessa qualità narrativa dei prodotti di Netflix”. Una dichiarazione coraggiosa, se non propriamente utopica, che trova però una sua parziale corrispondenza nella realtà. Paradossalmente è stata la stessa Netflix, ovvero quella piattaforma intesa come “paradigma” di qualità e progettazione sistematica, a diffondere la scorsa settimana un cortometraggio anime realizzato – doloroso, ma vero – grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, che ha sostituito così gli animatori in carne e ossa nella configurazione degli sfondi animati. E come era logico aspettarsi da un’operazione di questo tipo, il corto – intitolato The Dog & The Boy e prodotto in collaborazione con il nipponico Wit Studio – ha sollevato sin dall’uscita un numero eccezionalmente alto di critiche, seguite da riflessioni più profonde (e preoccupanti) sul futuro dell’industria d’animazione, con particolare enfasi su quella giapponese, oggetto ormai dai tempi del primo Astroboy (1963) di problematiche endemiche quali ritmi di lavoro asfissianti, saturazione del mercato e retribuzioni ai limiti dello sfruttamento.

In questo senso, è lecito pensare che i benefici offerti dalle intelligenze artificiali, come la velocizzazione dei progetti o il considerevole abbassamento dei costi produttivi, possa indurre un numero sempre maggiore di produttori, filmmaker – o più in generale, di artisti digitali – a servirsi di questi sistemi auto-generativi per la creazione delle loro opere future. Un azzardo, che a detta di molti, rischierebbe di compromettere il valore artistico dei prodotti, privati della singolarità dell’uomo, oltre alla sostenibilità industriale di intere comunità di professionisti. Nel frattempo, sulla scia produttiva di Nothing, Forever, il fondatore dello studio videoludico Lost Lore, Eugene Kitkin, ha dichiarato di aver affidato alla tecnologia di generazione di immagini Midjourney la realizzazione di alcuni artwork, ottenendo così un risparmio di ben 70000 dollari. Insomma, il futuro è arrivato e non lo possiamo di certo ignorare, anche perché nel corso degli ultimi 130 anni, l’innovazione tecnologica è stata il motore di tutte le trasformazioni estetiche dell’immagine-in-movimento. Ma se si vuole proseguire sul cammino dell’evoluzione, è necessario che le ramificazioni future dell’audiovisivo non mettano in discussione ciò su cui si è sempre fondato il progresso: ovvero la centralità del fattore umano.

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