Nuestras Madres, di César Díaz

Premiato con la Camera d’Oro nel 2019 alla Semaine, narra delle conseguenze della guerra civile in Guatemala attraverso l’esperienza di un antropologo forense. In concorso al FESCAAAL su MyMovies

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Un mucchio di ossa è quanto rimane dei corpi delle vittime della sanguinosa guerra civile in Guatemala, un conflitto durato oltre trent’anni a partire dal 1960, fino ad arrivare ai trattati di pace firmati il 29 Dicembre 1996, dopo lunghissime trattative. Ernesto è un antropologo forense impegnato ad esumare, ricostruire ed identificare i resti per dare loro un nome e concedere ai familiari un minimo di dignità ed il diritto alle esequie. Tra le persone scomparse nel nulla c’è anche il padre di Ernesto, un uomo svanito come tanti nel cortocircuito di violenza scatenato dall’esercito contro la guerrilla, una violenza arrivata inevitabilmente a colpire la popolazione civile, soprattutto le donne rimaste prive di figli, fratelli o mariti. Quando il giovane, durante un’indagine, trova una traccia di lui in una vecchia fotografia, o forse spera di trovarla in una somiglianza, Cristina, sua madre, cerca di dissuaderlo di cercare una risposta nel dolore, e lo esorta a lasciare in pace i morti, ovunque siano sepolti.

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L’analisi del loro rapporto è il punto di partenza della storia, come dichiarato dallo stesso regista, un modo di confrontare le conseguenze di un disastro nei diretti superstiti e sopra coloro che di quella tragedia diventano gli eredi più prossimi. Il film nasce da una memoria di sangue, ascolta le voci ancora agonizzanti, usa radio e televisioni per diffondere testimonianza di torture, rapimenti, prepotenze, quasi si fosse in presenza di una seduta psicanalitica collettiva e fosse finalmente giunto il momento di metabolizzare una ferita ancora sofferente, attraverso l’attesa di un processo imminente agli ufficiali militari, in cui Cristina sarà chiamata a testimoniare. In quel campo invaso dai fantasmi dei morti si muovono i personaggi, spiriti erranti di una verità ancora da scoprire, divisi tra chi sente l’esigenza di cercare nel passato il seme del presente e chi vorrebbe soltanto girare pagina e dimenticare l’orrore. Quando durante il compleanno di Cristina si sente intonare l’Internazionale quella frattura si esplicita in maniera perfetta sui volti di madre e figlio, il primo rigato dell’emotività della partecipazione, il secondo attraversato da qualcosa di molto simile ad un impacciato imbarazzo.

Le atmosfere di Nuestras Madre sono ombrose, malinconiche, pervaso da un alone di irrisolto, stemperate in un pista crime lontana e sfocata, un clima preda di alcuni momenti di angoscia nella visualizzazione cruda di una barbarie rimasta attaccata alla pelle, asciugato dalle lacrime insufficienti, dominato da relazioni frammentarie, dove non esistono soluzioni di comodo, e le domande girano in circolo, eludendo le risposte. Le finalità politiche del progetto evidenti, quanto accaduto ad Ernesto è il risultato non certo isolato di un periodo buio dal quale il paese fa fatica ad affrancarsi, ostacolato dalle lungaggini burocratiche di un regime mai totalmente disarcionato e senza troppi giri di parole indica il principale colpevole degli orrori del periodo, l’esercito, responsabile di omicidi, sequestri e stupri.  E su quei ritardi nel fare giustizia vive il trauma di un popolo, risarcito con misere somme di denaro, date in cambio della vita dei loro cari.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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