O último azul, di Gabriel Mascaro
Un ritratto di malinconica e tenace resistenza di una donna anziana impegnata a sfuggire alla rete di controllo creata dal regime. Un film che unisce politica e visionarietà. BERLINALE 75. Concorso

Divertente, ironico, bizzaro e grottesco. O último azul, il film di Gabriel Mascaro è la storia di un viaggio, di una fuga. Ha come protagonista Tereza, una donna che a 77 anni viene considerata dal governo ormai inutile al sistema produttivo del paese e destinata ad andare in una colonia, dove dovrebbe passare il suo tempo insieme ad altri vecchi come lei. Per conoscersi, divertirsi ed aspettare la morte, questo potrebbe recitare lo slogan. Dopo averne limitato gli spostamenti, averne marchiato la casa come onorificenza, una vecchia usanza nazista, ed averla spogliata dei suoi diritti assegnandole d’imperio una tutela della figlia che la priva di fatto delle sue libertà e dei suoi diritti. Ma la donna, compresa l’assurdità della faccenda, fa l’unica scelta possibile, e si ribella alla deportazione.
Sceglie il rifiuto, cammina per le strade e vede le mura piene di scritte ostili al governo, naviga lungo il Rio delle Amazzoni, cerca un aiuto in quella sacca di resistenza alimentata dagli ideali o dal denaro. Intraprende un cammino, e lungo la strada fa degli incontri, avventurieri e capitani di mare e suore non credenti, altre solitudini come la sua, incontra la solidarietà ma anche angelici delatori dalla bella faccia. Straordinaria la protagonista Denise Weinberg nel restituire lo sdegno, un’espressione incredula e caparbia, e bravi gli altri interpreti ad assecondare lo stato d’animo. Ma potenziano ed esaltano la sua performance i luoghi che attraversa, il fiume soprattutto e le riserve naturali, le piante e gli animali fantastici, la magia sciamanica che lo attraversa, l’idea mistica che rappresenta.
Una storia distopica inserita in un classico stato di polizia, eppure non troppo lontana dalla realtà del paese sotto il regime di Bolsonaro, un fanatico circondato da altri fanatici, che nel suo furore liberticida ha promulgato forti limitazioni della libertà personale, la persecuzione delle minoranze, oltre ad autorizzare lo scempio della deforestazione su aree vastissime. Forse l’interpretazione giusta si può ottenere smontando l’impianto fantascientifico, con una presa di coscienza di quanto profonda sia già la ferita, quante ingiustizie e sopraffazioni sono ormai diventate consuetudine ed accettate senza protestare, di come non esistano limiti d’età nel reclamare sogni e diritti. Ambientato in un tempo indefinito dal passato o del futuro, con dei toni di ilarità e malinconia, ed una fotografia impreziosita dalla luce del sud del mondo che sottolinea l’aspetto onirico, O último azul ci ricorda l’importanza di lottare, di non dare niente per scontato e di non firmare cambiali in bianco. Un Road movie politico, con delle punte di visionarietà tra i colori dell’ acqua e dell’orizzonte, il volo degli uccelli che invadono il cielo, ed un vertice incredibile in una straordinaria sequenza di lotta tra due pesci tropicali. Non ha bisogno di proclami ed eccessive linee di dialogo, sono piuttosto le immagini a riprodurre l’insensata profezia, ed in quella riserva comica nel trattare il problema, il film inventa un valore aggiunto e suggerisce come i modi di combattere l’ignoranza e l’arroganza dilagante negli stati repressivi siano tanti, e quello principale stia nel rifiuto di misure di controllo sprovviste di raziocinio, oltre che umilianti e disumane.