Occhiali neri, di Dario Argento

A Berlino 2022 in Berlinale Gala, e in sala dal prossimo 24 febbraio, a dieci anni da Dracula 3D conferma in Dario Argento uno dei registi più scopertamente romantici del nostro cinema

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Dieci anni di assenza dagli schermi – tanti ne sono trascorsi dall’uscita di Dracula 3D – non sono bastati ad affossare definitivamente Argento, come invece sarebbe piaciuto ai suoi detrattori. Ma questa non è la storia di quello che molti vorrebbero che lui sia, cioè sempre uguale a se stesso, quasi mezzo secolo dopo Profondo rosso e Suspiria (e non è un caso che Nonhosonno sia il suo titolo generalmente più apprezzato da trent’anni a questa parte). Auspicare in eterno il ritorno del Dario Argento di una volta è uno di quei racconti fantastici ascoltati così tante volte che alla fine ci si crede quasi per davvero: perché il suo cinema è sulla bocca di tutti, ma pochi sembrano conoscerlo fino in fondo; o quantomeno, in pochi accettano di vederlo senza mettere in discussione un modo di guardare il cinema che sembra sempre più a senso unico, e che alla fine rispecchia anche quello che noi siamo, quello che pensiamo, il modo in cui ci approcciamo al mondo e alle immagini che lo raccontano.

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No, questa non è la storia del film che oggi vorremmo (di nuovo) da lui: Occhiali neri non ne ha bisogno. Se provassimo ad associare al nome di Argento la parola amore, anziché brivido, paura o orrore, sarebbe tutto più facile: Dario Argento è uno dei registi più scopertamente romantici del nostro cinema. Lo è sempre stato, e in misura ancora più esplicita da Trauma in poi, cioè da quando non gli è stato più possibile camuffare il sentimento dinanzi a uno schermo ossessionato dalla presenza della figlia Asia. E anche stavolta continua a raccontare se stesso, con la passione e l’entusiasmo di chi non ha mai smesso di mettersi in gioco in prima persona, con la semplicità di un libro aperto che aspetta soltanto noi. Come hanno già sottolineato in molti, qui ritorna il tema della cecità, già affrontato in precedenza e finora confinato a latere (con il Karl Malden di Il gatto a nove code e il Flavio Bucci di Suspiria), ma ribaltando di netto l’assunto di base di Opera, dove l’occhio era costretto a vedere ogni cosa, ogni soggettiva, ogni movimento di macchina, torturato dagli aghi sotto le palpebre, dilaniato da una pallottola o dal becco di un corvo. Stavolta l’occhio non funziona più: ha bisogno di una guida, ha bisogno della presenza dell’altro. E ritorna anche l’ossessione tutta personale di ripercorrere i luoghi e i temi del suo cinema, come già avvenuto con La terza madre, vero e proprio viaggio all’interno della storia dei propri film e della propria famiglia, insieme ai fantasmi della Roma che fu. Ma oggi qualcosa è cambiato. Il carattere di quel film giocoso a dispetto degli eccessi gore (“Quello che si vede non esiste, quello che non si vede è la verità”), che terminava con una fragorosa risata davanti a uno sfondo posticcio in CGI e con gli uccellini che cinguettavano allegramente, ha lasciato il posto a un’amarezza di fondo che è l’altra metà del cuore di Argento.

Occhiali neri comincia tra le strade dell’EUR, con gli occhi alzati verso il cielo mentre un’eclissi di sole comincia a oscurare ogni cosa, preludio alla cecità della protagonista che si manifesterà di lì a breve. Quelle stesse tenebre” che nel 1982 rappresentavano il perfetto ossimoro di un film dominato dalla luce e dagli spazi aperti, oggi diventano reali.

È soltanto l’inizio di un sentore di morte costante che ci accompagna durante tutta la durata (mai viste così tante dissolvenze in nero nel suo cinema), e che Argento può combattere soltanto con l’arma più forte in suo possesso: il sentimento, il legame fortissimo tra Diana e i suoi nuovi occhi, cioè il piccolo bambino cinese rimasto orfano dei genitori. Un passaggio di testimone che in qualche misura coinvolge pure Asia, qui in ruolo sotto alcuni aspetti decisamente inedito, e che di fatto rappresenta il cuore di un film libero e slegato da qualsiasi convenzione, un inseguimento continuo che ci trasporta di colpo dalla Roma urbana di Tenebre alla dimensione rurale di un Phenomena notturno in cui tra boschi, acquitrini e serpenti (!) il nome della protagonista – la Dea della caccia – trova finalmente la sua vera ragion d’essere: Argento se ne frega delle regole e della struttura del giallo classico (cosa che Occhiali neri certamente non è), rinnega la detection, mostra con largo anticipo il volto dell’assassino e, in barba alle aspettative, non si concentra più sull’atto dell’omicidio in sé (ancora una volta: vediamo il film che avremmo voluto o quello che realmente è? E non era così anche per Il cartaio?). Troppa libertà per un film solo: non ci siamo abituati, ci spaventa. In tempi in cui il tema dell’eterno ritorno e il continuo ricorrere all’effetto nostalgia sembrano l’unico strumento possibile per dialogare con il grande pubblico, l’ottantenne Argento attraversa se stesso e si guarda dentro per andare ben oltre il mero citazionismo: è così anche per il finale in aeroporto, una delle chiusure più inaspettatamente emozionanti del suo cinema, dove la macchina da presa scende dal tabellone dei voli di Suspiria per soffermarsi su Ilenia Pastorelli vestita come Veronica Lario in Tenebre, prima di abbracciare teneramente il cane guida sussurrando “Sei l’unica amica che mi è rimasta”. È ancora la Jennifer Corvino/Connelly di Phenomena con il tenero scimpanzé Inga, alter ego di un regista che quaranta anni fa rivendicava la diversità come unica forma di autodifesa e oggi accetta con serenità la solitudine (prima) del buio.

Regia: Dario Argento
Interpreti: Ilenia Pastorelli, Asia Argento, Andrea Zhang, Andrea Gherpelli, Maria Rosaria Russo, Guglielmo Favilla, Gennaro Iaccarino
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 89′
Origine: Italia, Francia 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
3.06 (80 voti)
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