"Ogni film è un'occasione da non perdere per rimettersi in gioco" Intervista a Alessandro D'Alatri, regista

Regista fuori dagli schemi del cinema d'autore, pratica con scioltezza spot, cinema e videoclip, Alessandro D'Alatri è uno degli ospiti dei “Corsi di Cinema di Sentieri Selvaggi”. Questa è un'intervista che ci rilasciò all'uscita di “Casomai”

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Alessandro_D'Alatri«Mi dicono che ho fatto quattro film uno diverso dall'altro, ed è vero. E sarà così anche per i prossimi, che ho già in ebollizione. Certo, dopo "Senza pelle" avrei potuto continuare a fare film su tossicodipendenti e disagiati mentali, ma non ho voluto. Così come dopo "I giardini dell'Eden" ho rifiutato le tante proposte di pellicole su santi e beati. Credo che ogni film debba essere una sorta di prototipo, un'occasione da non perdere per rimettersi in gioco. No, non sono un regista facilmente collocabile in schemi prefissati. C'è però un fil rouge, un minimo comun denominatore che lega tutta la mia attività di cineasta, ed è il tema della crescita. La crescita umana e individuale».

Il percorso cinematografico di Alessandro D'Alatri, in effetti, avviato undici anni fa con "Americano rosso", proseguito tra luci e ombre con "Senza pelle" e "I giardini dell'Eden" e arrivato, per ora, a "Casomai", risulta quanto mai sfaccettato. Una volontà strategica, quella di focalizzare il proprio sguardo su punti, storie e situazioni diverse, che il regista romano attribuisce «alle mille domande che la vita ti pone e alle mille risposte che, come regista, sei sollecitato a dare».

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CasomaiSENTIERI SELVAGGI: il suo nuovo film, "Casomai", tocca un tema attualissimo, il difficile equilibrio della coppia nella società contemporanea. Un equilibrio delicato in cui i desideri spesso si sommano alle contraddizioni. Perché, oggi, un film sul matrimonio?
D'ALATRI: Più che un film sul matrimonio, ho voluto fare un film sull'amore. O meglio ancora, un film sulle interferenze, sulle intrusioni, sulle invasioni di campo che subiscono normalmente due giovani che si amano. Oggi si parla a più non posso di coppie in crisi, di difficoltà di relazioni sentimentali, di problemi quotidiani a costruire e a mantenere nel tempo questi legami. Quasi sempre il cinema si è limitato a mettere in mostra questi elementi, cioè a rappresentare il dato finale. Io, invece, ho avvertito l'urgenza di andare a indagare le cause della precarietà nei rapporti di coppia. Ho cercato di capire, cioè, quali sono i percorsi che portano alle incrinature degli equilibri. Così è nato "Casomai", che già nel titolo contiene le radici di questa mia scelta.

SENTIERI SELVAGGI: Cosa vuole indicare, esattamente, Casomai?
D'ALATRI: E' un modo di dire, che è entrato nel nostro lessico in maniera preponderante. Da semplice forma dubitativa è diventato filosofia di vita nelle giovani generazioni. Quale? Quella di lasciarsi comunque una porta aperta, di non fare scelte definitive, di indirizzare lo sguardo perennemente fuori fuoco. C'è sempre un "casomai", nei progetti di tanti ragazzi di oggi. Ma spesso non per colpa loro. Se due persone, infatti, provando sentimenti comuni, decidono di sposarsi, questa loro scelta spesso deve fare i conti con una gran quantità di commenti aggiunti e di pareri non richiesti, deve confrontarsi con la lunga catena delle relazioni, esterne alla coppia, che prende subito posizione. Dai parenti agli amici, dai conoscenti ai colleghi.

SENTIERI SELVAGGI: A complicare la situazione all'interno della coppia contribuiscono anche le allusioni erotiche più sfacciate, che bombardano quotidianamente i nostri sensi…
D'ALATRI: Io invito chiunque ad andare dal giornalaio ad acquistare una rivista patinata, specialmente se "al femminile". Sfido chiunque a non trovarci dentro un articolo che istighi in modo compiaciuto e smaccato alla trasgressione. Facendola passare persino per una situazione fisiologica. Un tradimento, in fondo, non fa poi così male alla coppia, un pizzico di trasgressione può anche costituire il sale di un rapporto. Ma chi l'ha detto? Questi inviti espliciti ad atteggiamenti sessuali disinvolti portano alla rovina della coppia, fanno saltare anche gli equilibri più solidi e persino le relazioni più "alternative". Due persone che si amano sul serio, così, sembrano quasi fuori moda. E in questo gioco di spinte a saltare il fossato della normalità, rischiano di diventare ingombranti, fastidiosi, quasi fossero la testimonianza vivente che nella vita ce la si può fare senza strafare. E' lo status vivendi di oggi, che fa in modo che lentamente si insinuino sempre di più, nella coppia, malumori, malesseri, insoddisfazioni.

Alessandro_D'AlatriSENTIERI SELVAGGI: Quali sono le cause di tutto ciò?
D'ALATRI: Noi siamo il prodotto di una società dei consumi. E in questa smania di consumare tutto, siamo entrati, purtroppo, anche nella logica dei consumi dei sentimenti. Oggi esiste la rottamazione delle donne, è inutile negarlo. Gli uomini, tra i cinquant'anni e i sessant'anni, spesso hanno una regressione infantile e desiderano una ventenne. Una modella. Ma certe donne immaginifiche che propone la pubblicità non esistono nella realtà. Io lavoro in quel mondo, lo so bene, quelle bellezze sensazionali e ammiccanti non esistono allo stato naturale. Dietro a quelle immagini dal fortissimo richiamo erotico c'è un lavoro enorme. Le modelle che ammiriamo in tanti spot non sono così affascinanti quando vengono sul set, appena sveglie la mattina, non hanno nulla di quella tensione sensuale che scatenano poi in certe immagini pubblicitarie.

SENTIERI SELVAGGI: A proposito di pubblicità: lei è uno tra i più stimati e premiati registi di spot. Come mai non è ancora uno stimato e premiato regista cinematografico?
D'ALATRI: Perché sono nato in Italia. Perché nel resto del mondo chi ha fatto quello che io ho fatto in ambito pubblicitario è diventato Ridley Scott o Adrian Lyne. Costruendo una carriera cinematografica, cioè, su una riconosciuta credibilità pubblicitaria. Da noi, invece, gli esami non finiscono mai. La crescita di un autore è perenne, si deve sempre dimostrare qualcosa. In Italia si sta investendo sugli esordi di giovani registi. Noi produciamo 50, 60 esordienti l'anno. Con 120 film all'anno, di media, in totale, di cui solo 3 arrivano a spartirsi i David di Donatello. Magari proprio quei tre che hanno riempito i cinema e che il pubblico ha visto e gradito. C'è qualcosa che non va, evidentemente, in questo meccanismo. Si butta nella mischia un esordiente, gli si fa fare un film che, come da copione, non va bene al botteghino, si racimolano quei magri incassi e via, sotto con un altro. Questo non va bene. Oggi non si può andare alla ricerca soltanto del genio assoluto, del prossimo Fellini.

SENTIERI SELVAGGI: Casomai è un film d'autore, leggero ma profondo. Come può migliorare il rapporto produttivo fra questo tipo di cinema e l'industria cinematografica, ancora troppo rigida e legata solo alla garanzia di un robusto ritorno economico?
D'ALATRI: Lo dico in modo esplicito: all'industria interessa solo fare soldi. Se il modo per fare soldi è determinato da film dai contenuti intelligenti e sensibili, nessuno dirà mai di no. Occorre aprire la contraddizione all'interno del meccanismo industriale. E' chiaro che bisogna avere talento, trovare la formula che possa veicolare questi contenuti intelligenti. Ma l'industria non rifiuterà mai un prodotto che sia in grado di generare quattrini. Questa logica va rilanciata. Io non sono dell'idea che l'industria vada demonizzata, in virtù di astratte pretese di autorialità, di nicchia artistica.

CasomaiSENTIERI SELVAGGI: La sfida è quella di scendere sul terreno della competizione senza pregiudizi?
D'ALATRI: Sì, a me sembra che molti registi abbiano ancora paura del marketing. Forse non sanno bene cosa sia. Il marketing è anche una forma di protezione del lavoro di un autore. Se un determinato film viene promosso, distribuito e tutelato con cura, le idee che pulsano in quel film possono circolare capillarmente. Perché si dovrebbe rinunciare a questa opportunità? Il problema è queste occasioni non capitano praticamente mai. Io con "Senza pelle" sono uscito nelle sale con una copia sola. Con "I giardini dell'Eden" con quattro. Questo è il dramma. Ma senza l'industria il cinema non va lontano. A meno che non ci si accontenti di un cinema d'assalto, che esca deliberatamente dai sistemi convenzionali di produzione e distribuzione.

SENTIERI SELVAGGI: Le immagini pubblicitarie devono essere in grado di visualizzare una storia comprimendola in un tempo minimo. Che differenze ci sono, dal punto di vista registico, tra filmare uno spot e girare un film?
D'ALATRI: Sono due mondi a parte. In comune hanno solo i mezzi tecnici, i supporti, le fasi della lavorazione. Come investimento emotivo personale, sono due poli opposti. Non ci sono profondi punti di contatto. La pubblicità per me è stata ed è una grandissima palestra. Non un bancomat, come qualcuno potrebbe pensare, ma una palestra fantastica. Non è un caso, forse, se sono uno dei registi pubblicitari italiani pluridecorati sul campo. Non lo dico per amor di medaglie. E' curioso: più ho mantenuto distanza emotiva dalla fascinazione economica della pubblicità, più le mie capacità artistiche sono state riconosciute.

SENTIERI SELVAGGI: Cosa la attrae, ancora oggi, della pubblicità?
D'ALATRI: Verificare quanto sono in grado di entrare in quei contenuti, accettando ovviamente la logica di promozione di un prodotto, di un oggetto. Non ho mai girato spot di prodotti di cui non condividevo la filosofia di fondo, ma nello stesso tempo confesso di essere eternamente grato alla pubblicità. Non per i risvolti economici, anche perché credo di essere uno dei pochi che non si è arricchito con questo mestiere. Al centro dei miei obiettivi c'era la possibilità di lavorare con talenti, tecnologie, stili espressivi. Ho capito in tanti anni che la sintesi è un dono importante, che la sintesi è comunque racconto, un racconto che diventa grammatica del linguaggio.

CasomaiSENTIERI SELVAGGI: E le differenze con il cinema?
D'ALATRI: L'investimento emotivo nel cinema è fortissimo, la penalizzazione d'investimenti è totale. Io ho girato un intero film, "Senza pelle", con quanto costa, oggi, un solo spot. C'è una sproporzione enorme sul piano economico, però lentamente, negli anni, sono riuscito a mettere in gioco una riflessione sul linguaggio. Sono molto orgoglioso, in questo senso, di "Casomai". Non perché sia riuscito, nel mio ultimo film, a far diventare cinematografico il linguaggio pubblicitario. Anzi. Il contrario. Sono riuscito a capitalizzare le strategie estetiche e ad abbassarle a un livello di contenuti più accessibili a tutti.

SENTIERI SELVAGGI: Alla resa dei conti, cioè all'uscita di una pellicola nelle sale, quanto appartiene davvero di un film a un regista? Quanto resta davvero sullo schermo di tutta la passione che spinge un cineasta a continuare nella sua attività?
D'ALATRI: Qualsiasi cosa resti, è sempre qualcosa di personale, che valeva la pena di realizzare. Pasolini diceva una cosa bellissima: "Anche nel film più brutto c'è dentro vita". Aveva ragione. Anche nella testimonianza visiva peggiore, nel film peggiore di un regista, c'è un'idea, uno stimolo, una spinta. Se pure le limitazioni sono state tante durante le riprese e un cineasta ha dovuto tagliare delle scene o non ha potuto effettuate i primi piani che voleva, ma ha scritto la propria firma sui titoli di coda, allora il risultato ha ripagato gli sforzi. E questo è già sufficiente. Almeno per me.

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