OMBRE ELETTRICHE – In Corea anche l'amore è diviso
Tra raccordi politici e aspirazioni classiche, il cinema coreano continua a valicare quella linea d'ombra che dal melodramma porta alla quotidianità del sentire: "Over the Border", "Maundy Thursday", "Once in a Summer" e "Traces of Love" declinano diversamente l'impossibilità concreta dell'amore in un paese diviso, spesso lacerato dal ricordo
Non può essere un caso se nella stessa annata molti film affrontino l'eterno tema dell'amore – e della sua rappresentazione in chiave narrativa – in una declinazione inusuale, quella dell'impossibilità o perlomeno della sua ineludibile fragilità. Le possibili letture possono essere opposte: un'indicazione del fatto che i più grandi sentimenti sono quelli non portati a compimento; oppure una sottaciuta impressione che in una terra divisa come
Il più diretto nella messa in pratica di questa dicotomia tra ideale di eterna felicità e drastico distacco reale è Over the Border, esordio di Ahn Pan-suk, un conosciuto produttore di serie televisive. Qui gli attrattori in campo sono espliciti: il solo valicare del confine tra Nord e Sud implica la polverizzazione dell'amore tra Sun-ho e Yon-hwa. Il primo è costretto alla fuga dalla scoperta che il nonno, creduto martire di guerra, è in realtà vivo e vegeto e residente al sud. La dura vita da emigrante cancella le speranze, soprattutto quando gli giunge la notizia che Yon-hwa, stanca di attenderlo, si sia risposata. Sun-ho si accontenta così di sopravvivere, sposa un'altra donna (per cui prova affetto e gratitudine, non amore) e prova con tutte le forze a integrarsi nella nuova società. Quando Yon-hwa riesce finalmente a raggiungerlo, il divario è ormai insanabile, nonostante il vecchio sentimento sopravviva. Over the Border è un film di tradimento e sconfinamento – dai pretestuosi confini nazionali, dalle proprie emozioni. Descrivendo lo spaesamento dell'emigrante non va per il sottile nel raccontarne l'amarezza, ma anche le illusioni che si trasformano in rasoi taglienti per chi ha lasciato indietro (l'ignara Yon-hwa). Rappresenta con un distacco algido che quasi intorpidisce l'amore nel suo divenire senso di colpa a causa delle divisioni inopinate della politica, della storia, della ragione di stato. Discorso meno apertamente politico, ma altrettanto chiaro per Maundy Thursday, tratto da un romanzo di Kong Ji-young, una delle scrittrici coreane più famose, con all'attivo centinaia di migliaia di copie vendute. Il film è diretto da Song Hae-sung – regista già avvezzo alle asincronie amorose (il pachidermico Calla, del 1999, con i suoi improbabili salti temporali, e il più tragico Failan, 2001, con una quasi muta Cecilia Cheung); se con Rikidozan, del 2004, aveva sterzato verso il biopic fumettoso – storia di un lottatore di wrestling che diventa idolo del Giappone post-bellico – qui torna a indagare la psiche disillusa di due persone ai margini, proprio come in Failan. Maundy Thursday, conosciuto anche come Our Happy Time, è una storia epifanica dai tratti neanche troppo vagamente cattolici, incentrata su pentimento e redenzione. Dentro c'è un po' di tutto – omicidio, povertà abissale, suicidio, abusi, stupro, amore, pena capitale – ma il cuore nevralgico è la contrapposizione brutale tra i due protagonisti. Lei, Yu-jeong, è ricca; lui, Yun-soo, è dannatamente povero. Lei nasconde un terribile segreto legato all'infanzia; lui è in prigione per aver ammazzato a coltellate quattro persone. Costretta dalla zia suora, Yu-jeong acconsente a incontrare il criminale nel tentativo di fargli trovare il perdono sulla via dell'esecuzione. Dall'incontro forzato scaturiscono sensazioni inaspettate che svelano come gli opposti siano in realtà identici: entrambi rifiutano la vita e vivono in attesa della morte perché non hanno trovato nessuno cui potersi aprire. Come nei chiasmi più repentini, nel momento in cui trovano il coraggio di farlo, l'un l'altro, è già il momento dell'addio. Maundy Thursday è dunque un film aperto alla speranza proprio nel momento in cui la speranza scompare. Dall'impostazione drammatica vacillante, con dialoghi ad effetto sicuramente ridondanti, è però coraggioso nel portare l'assunto fino in fondo. Nessun avventato e poco credibile spazio per la passione; in questo caso l'amore finisce proprio dove inizia, e questa sembra essere l'unica possibilità concreta rimasta ai vivi.
Once in a Summer è un film altrettanto strano e indicativo. Il regista, Cho Geun-sik, aveva esordito nel 2002 con Conduct Zero, una frizzante commedia adolescenziale persa tra botte marziali studentesche e primi sopiti amori. Il nuovo film è più maturo nei toni e più consapevole nella messa in scena, ma conserva parte di quello sguardo innocente. L'incipit è spiazzante: la sceneggiatrice di un reality show stile Carramba che sorpresa deve convincere un noto professore universitario a partecipare al programma; il docente chiede allora di ritrovare una ragazza che ha conosciuto anni addietro, quando era ancora all'università. In flashback rivediamo il loro breve incontro e cosa ha significato per entrambi. La storia coreana, in apparenza motore trainante delle vicende – tra sit in, cariche della polizia, sgomberi e arresti forzati – rimane sullo sfondo, fuori dall'uscio; a dettare le regole sono semmai le fasi dell'innamoramento tra Seok-young, ragazzo ricco e apatico, e Jeong-in, ragazza vitale ma imprigionata nel passato per le "colpe" dei genitori, fuggiti al nord. È un'altra storia a termine. Qui l'amore, durante l'arco di una settimana, ha il tempo di germogliare, ma è comunque predestinato a fallire – nel modo più doloroso. Proprio come il personaggio di Seok-young, chiuso, schivo, disinteressato a tutto, anche l'amore appare l'antro dell'incomunicabilità, perché non riconciliato, pieno di attriti (padre-figlio, studenti-regime, nord-sud, ricchi-poveri, etc.). Nuovamente un film imperfetto, colpevole persino di un finale trito sull'orlo del melenso. Eppure il suo sguardo soffuso e trattenuto porta in primo piano le discrepanze di cuore e nazione. L'ultima fatica di Kim Dae-seung, un tempo assistente di Im Kwon-taek, pare chiudere ipoteticamente il cerchio. Dopo il delicato tratteggio emotivo di Bungee Jumping of their Own (2000) e il thriller storico Blood Rain (2005), con Traces of Love cerca di saldare ricerca estetica e sentimentale. Tramite la messa in pubblico da un punto di vista privato della tragedia del crollo del Sampoong Department Store, probabilmente dovuto a un caso di corruzione in cui i parenti delle vittime non sono mai stati veramente risarciti, prospetta una possibile soluzione al dilemma di un amore che non è in grado di sbocciare. Il protagonista è Hyun-woo, un aspirante inquirente in procinto di sposarsi con Min-joo, produttrice televisiva. Per un contrattempo l'uomo non accompagna la fidanzata ai grandi magazzini, dove avrebbero dovuto scegliere l'arredo, ed è costretto ad assistere al crollo della struttura in cui lei perderà la vita. Di nuovo una causa esterna, un meccanismo perverso, nega la possibilità dell'amore. Anni dopo però Hyun-woo parte per un viaggio di riscoperta: il padre di Min-joo gli consegna infatti il diario della figlia, in cui lei annotava tutti i posti meravigliosi che visitava per lavoro. Hyun-woo decide allora di andarli a riscoprire e qui la sua strada si intreccia con un'altra donna e con la maestosa calma dei paesaggi. La soluzione appare dunque trascendente: la forza della natura può scalfire le ferite del cuore. Non è nella contrapposizione che si può trovare un risanamento (Hyun-woo si occupa delle indagini sul crollo del grande magazzino, ma nel film non viene presa una posizione chiara in merito), quanto nel riconciliarsi con i panorami – con l'ambiente circostante – sulle note di Mozart o Handel. L'unica soluzione al dolore non sarebbe dunque nel rincorrere il dolore, ma nell'andare avanti fino a ritrovarsi, pacificandosi. Se questa possa essere una soluzione anche per le due Coree, da troppo tempo costrette a fronteggiarsi sul piano vendicativo delle ideologie, è tutto da verificare; certo è che un ritrovato senso di armonia negli individui non può che facilitare i grandi sommovimenti storici.
FILMOGRAFIA
Maundy Thursday (a.k.a. Our Happy Time)
paese: Corea del Sud
anno: 2006
regia: Song Hae-sung
sceneggiatura: Jang Min-seok, Park Eun-yeong
cast: Kang Dong-won, Lee Na-young
Over the Border
paese: Corea del Sud
anno: 2006
regia: Ahn Pan-seok
sceneggiatura: Jeong Yu-kyung
cast: Cha Seung-won, Shim Hye-jin
Once in a Summer
paese: Corea del Sud
anno: 2006
regia: Cho Geun-sik
sceneggiatura: Kim Eun-hee, Kim Eun-sook
cast: Lee Byung-heon, Soo-ae
Traces of Love
paese: Corea del Sud
anno: 2006
regia: Kim Dae-seung
sceneggiatura: Jang Min-seok
cast: Yoo Ji-tae, Kim Ji-soo
DOVE ACQUISTARE
Tutti i film di cui si parla in questo numero di Ombre Elettriche sono reperibili in dvd nella versione coreana in lingua originale con sottotitoli opzionali in inglese (regione 3). Per chi volesse risparmiare, a fronte di una minore qualità audio e video, sono presenti anche le versioni in vcd (video cd), visionabili su qualsiasi lettore dvd, con sottotitoli inglesi sovraimpressi.