OMBRE ELETTRICHE – Ritrovare Hong Kong: "Ming Ming" e "Happy Birthday"

ming ming

Due film agli antipodi: Ming Ming è un concentrato pop-fluorescente che racconta di passioni represse e segreti a lungo custoditi; Happy Birthday è un antimélo che rifiuta pervicacemente la passione, disperdendola in asincronie temporali. Entrambi rileggono però il cinema di Hong Kong che fu, recuperandone la passione per la narrazione

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ming mingChe l’industria cinematografica di Hong Kong sia in crisi nera è fatto assodato, sotto gli occhi di tutti; lo raccontano tutti i possibili indicatori – incassi, esportazioni, numero di film prodotti – in costante calo. Che questo significhi che il cinema di Hong Kong sia morto e sepolto è più dubbio. Meglio sarebbe dire che il cinema dell’ex colonia britannica sta attraversando una rovente e concitata fase di mutamento, tutta in apnea, alla ricerca di una nuova identità. I mutamenti non sono mai indolori, specialmente quelli di questa portata, specialmente se mutare significa per forza di cose scendere a patti con un gigante statuario come la Repubblica Popolare Cinese – co-finanziatrice e principale sbocco commerciale dei film prodotti. Ma qualcosa si muove ancora: in questo caso due film diversissimi tra loro, che sanno però canalizzare le esperienze passate rivisitandole con acume. Da un lato lo sguardo tradizionale, e al contempo modernissimo, di Happy Birthday, che rilegge i mélo strappalacrime aggiungendo una tonalità rarefatta di abbandono. Dall’altro lo scatto hitech-retrò di Ming Ming, che guarda ai wuxia ricollocandoli in una modernità ultrapop.
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happy birthdayIspirato a un racconto dell’attrice taiwanese Rene Liu (anche protagonista), scritto tra le altre da Sylvia Chang e prodotto da quello stralunato istrione di Eric Tsang, Happy Birthday aveva tutte le carte in regola per essere atteso con trepidazione, non fosse stato per la regia di Jingle Ma – per alcuni prospettiva da temere a prescindere. Il buon Jingle Ma, nato come direttore della fotografia, proprio come Andrew Lau, poi passato a dirigere con buona lena, sembrava racchiudere tutti i difetti inestirpabili del cinema hongkonghese di fine millennio: velocità di realizzazione, cafoneria sistemica nel cercare di sfruttare la notorietà in occidente, dilapidazione della tensione in funzione di pose cool di poco conto. Persino i risultati meno delittuosi (l’ironico action Tokyo Raiders e il triadoso Goodbye Mr. Cool) impallidivano di fronte alle messe di saccarosio ammuffito di Fly Me to the Polaris, la commedia da sit-com scaduta di Why Me, Sweetie? e i ricircoli di acqua sporca a nome Silver Hawk e Seoul Raiders. Buona cosa lasciarsi allora sorprendere da Happy Birthday, che sa mantenersi sotto controllo nel descrivere una relazione non-relazione tra due amici dai tempi dell’università. Mai suona il piano, è caparbia e diligente, accudisce la nonna malferma, redarguisce il padre accanito fumatore, e cerca di tenere dentro il dolore per la perdita della madre, eclissatasi da casa un giorno qualunque di tanti anni prima. Nam è sbarazzino, divertente, assolutamente stonato, e piace un sacco alle donne, cui non sa rinunciare. I due si conoscono, si studiano, forse si piacciono. Tra loro nasce un affetto che si trascina negli anni, esplodendo solo a tratti. Mai sa di amare Nam, ma vuole che sia lui a rendersene conto; Nam sa di amare Mai, ma preferisce lasciar correre le circostanze per quando sarà il momento giusto. L’unica tradizione che si concedono sono gli auguri telefonici che Nam fa il giorno del compleanno di Mai. Lei sa di poter contare almeno su questo: il giorno del compleanno lui la chiamerà, per farla sorridere. Se Nam non la chiama più è allora perché tutto è svanito?
happy birthdayNiente rivoluzioni: la trama è già vista, e anche l’intarsio di piani temporali non è una novità. Ma Happy Birthday riesce a cogliere con inusuale sensibilità l’indecisione e il paradosso di un amore tanto palese che non riesce mai ad avere la forza necessaria per concretizzarsi nei fatti. Uno stato di vacuità perenne in cui perdersi (o a cui aggrapparsi) che lavora per sottrazione – fatto com’è di sussurri, di particolari che ritornano, di colori sfocati, di astrattezza formale. Una dismissione di colpa che è anche nella calma con cui si sostengono la brava Rene Liu e il dinoccolato Louis Koo, credibili nel volgere delle emozioni dall’amore alla disperazione, dall’ironia del ritrovarsi alla paura di essersi persi per sempre. E anche se il finale razionalizza, tornando nel campo della tragedia, Happy Birthday non è film triste, lacrimoso, ricattatorio. Al contrario rimane solare pur nella sua visione nostalgica della vita, allegro perché capace di trascendere gli intenti descrittivi di una storia comunque triste fino a penetrare nelle teste dei due amici, amanti, sconosciuti – isolati nelle loro paure, ma sempre consapevoli che un’apertura è sempre possibile, di quando in quando. Nessuna rivoluzione, dunque, ma la dimostrazione che anche uno dei registi più spassionati, anni fa, nel denutrire le peculiarità del cinema cantonese, può costruire un film incredibile nella sua assoluta quotidianità, recuperando quella apparente ingenuità che ha reso grande il mélo di Hong Kong.
ming mingUn pareggiare i conti con la tradizione che nel caso di Susie Au, eclettica regista di video musicali al suo esordio nel lungometraggio, si trasforma in voglia di sberleffo e insieme di omaggio: Ming Ming supera in ricerca stilistica qualsiasi possibile tentativo di nobilitare la trama risicata che mette in scena, ma è proprio questa sovrabbondanza, questo mettersi in mostra che garantisce al suo esperimento visivo la freschezza per imporsi come sguardo nuovo e consapevole. Ming Ming è una dark lady esperta di arti marziali. Durante un incontro di boxe clandestino si invaghisce di D, che le confessa di sognare solo due cose: avere 5 milioni di dollari e poter fare un viaggio a Harbin. Detto fatto, Ming Ming ruba i soldi a Brother Cat, sperando così di potersi tener stretto lo sfuggente D. Nella sua fuga Ming Ming è aiutata da Tu, la cui unica qualità dichiarata è saper correre veloce. Arrivata nei pressi del rifugio di D, Ming Ming incrocia però una ragazza uguale a lei, Nana. La dark lady inizia così a manovrare dell’alto perché Tu creda Nana sia in realtà lei: i due devono fare una lunga traversata per raggiungere Shanghai, dove forse si nasconde D, Le cose però si complicano quando Tu si rende conto di essere attratto da Nana e Nana, che pure sa di non essere Ming Ming, rimane zitta perché è altrettanto innamorata di D. L’aggiunta di altri particolari (una scatola intagliata contenente un segreto, il comportamento ambiguo di Ming Ming, la scomparsa di D) non farebbero che disorientare ulteriormente. Già così è però evidente il registro assolutamente scompaginato che Susie Au decide di gestire con assoluto estro. Ming Ming è con ogni evidenza una rilettura consapevole della sostanza e della prassi narrativa dei vecchi wuxia – i film di cappa e spada cinesi, portati alla ribalta anche in occidente grazie a La tigre e il dragone – con storie intricate di amori, gelosie, grandi segreti e, non da ultimo, armi poco credibili (Ming Ming manovra le perline nere della sua collana come proiettili). Un film in costume ambientato ai giorni nostri, in un ribaltamento non dissimile dal Romeo+Giulietta di Baz Luhrmann, con l’aggiunta di un’ironia e una capacità inventiva fuori dalla norma. Pieno di colori, musiche elettricate, ralenti, stop framing, riverberi virati e montaggi furbescamente intrecciati, Ming Ming dice e contraddice, sviluppa e si accartoccia, trasbordando oltre ogni decenza, diventando per questo ancora più simpatico. In fondo è una sorta di Ashes of Time di Wong Kar-wai spiegato alle schiere ipervitaminizzate del pop-postmoderno, con persino discorsi sul doppio (Ming Ming/Nana, una sbarazzina Zhou Xun), sulla memoria (il passato di D), fino a spingersi al transgendering come unica via di fuga.

Nei loro difetti, nella loro volontà forse troppo scoperta e dichiarata di coinvolgere (Happy Birthday) o di strabiliare (Ming Ming), entrambi i film sono esempi di come il cinema di Hong Kong tenti di cambiare pelle, tenti di scendere a patti con il proprio passato per continuare a conservare una identità forte e riconoscibile nel futuro.

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Happy BirthdayFILMOGRAFIA

 
Ming Ming
paese: Hong Kong
anno: 2007
regia: Susie Au
sceneggiatura: Susie Au, Angela Au, Louisa Wei
interpreti: Zhou Xun (Ming Ming / Nana), Daniel Wu (D), Tony Yang (Tu), Jeff Chang (Brother Cat), Ricky Chan (Mousey), Shin Wong Hin (Joey/Jane/cameriera/barista), Kristy Yeung (Zhang Yu)
 

 

Happy Birthday

paese: Hong Kong
anno: 2007
regia: Jingle Ma
sceneggiatura: Sylvia Chang, Theresa Tang, Kit-ming, Woo Yan-wai
interpreti: Rene Liu (Mai), Louis Koo (Nam), Lawrence Chou (Danny), Richard Ng (padre di Mai), Kudo Yuya (Takashi), Chang Bo-yee, Jordan Chan
 
LINKS
 
DOVE ACQUISTARE

Entrambi i film sono disponibili in dvd regione 0 nell’edizione hongkonghese. Sono presentati nel corretto formato anamorfico, con audio originale cantonese (Happy Birthday anche in Dts) e con sottotitoli rimuovibili in inglese. Tra gli extra Ming Ming prevede un video musicale e un documentario-intervista sottotitolato in inglese.
         http://global.yesasia.com

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