On a eu la journée, Bonsoir, di Narimane Mari
Nato dalla necessità di elaborare un lutto, il film è una riflessione su ciò che ci si lascia alle spalle. Al Filmmaker Festival di Milano, Narimane Mari racconta la morte del compagno Michel Haas
Ci sono delle opere d’arte che vengono create a partire da un’istanza, da un bisogno, da una necessità del suo autore. Nascono per affrontare delle questioni personali, e si sviluppano autonomamente, come dei flussi di pensiero, fino a prendere una forma definita e riconoscibile, in questo caso la forma di un film. Iniziato a girare negli ultimi giorni di vita dell’artista Michel Haas, On a eu la journée, Bonsoir è una di queste opere.
Realizzato da Narimane Mari, regista e compagna di vita di Michel Haas, il film non si limita a raccontare gli ultimi giorni della sua vita. Attraverso le opere di lui, i ricordi e il montaggio, il momento della morte diventa il punto centrale da cui si articolano due diverse riflessioni. Una sul passato, sulla forza dei ricordi, sui momenti trascorsi insieme ad una persona amata e quello che si lasciano dietro; una sul futuro, su cosa resta ora che il corpo non c’è più, su com’è possibile “andare avanti”.
Questa doppia articolazione di On a eu la journée, Bonsoir, una orientata al passato e una al futuro, si riflette nella volontà di scorporare i suoni del presente dalle immagini. La morte dell’artista, i suoi ultimi giorni, le riflessioni di Mari, si mostrano solo attraverso registrazioni audio. La morte è un argomento troppo delicato per mostrarla direttamente. In questo modo le immagini vengono riempite delle scene in cui Hass era ancora vivo, intento a dipingere, a camminare per le strade di Parigi, a ricordare; ma anche dalle immagini della sua arte, come memento della sua imperitura presenza.
La capacità di Narimane di raccontare in maniera delicata la morte, il lutto e la perdita, trasporta il film da un campo profondamente personale ad uno universale. On a eu la journée, Bonsoir, nella sua sincera intimità, riesce a parlare a tutti noi, perché tratta argomenti che fanno parte dell’esperienza di ognuno di noi: la vita e la morte. Arte che si mette al servizio dell’individuo, diventando metodo di elaborazione del trauma. Ora in concorso FilmMaker Festival