Operation Chromite, di John H. Lee

Un’operazione che trova nelle semplificazioni ideologiche e dei personaggi un limite angusto da oltrepassare. Passaggio necessario di metabolizzazione di una storia drammaticamente attuale?

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Corea, 1950. All’indomani dello scoppio delle ostilità tra Nord e Sud, è in atto un’operazione segretissima: le forze dell’ONU guidate dal celeberrimo generale statunitense Douglas MacArthur stanno tentando di coordinarsi con un manipolo di guerriglieri sudcoreani, infiltrati tra le alte sfere militari nordiche per favorire un imponente sbarco presso Incheon, porto distante pochi kilometri dal fatidico 38° parallelo oltrepassato dalle truppe comuniste in piena occupazione del meridione. Il gruppo di uomini capitanato da Jang Hak‑soo, tenta la disperata missione in un feroce testa a testa con il tirannico generale Lim Gye‑jin, lungo una drammatica scia di sangue e imprevisti. Con Operation Chromite, il regista sudcoreano che ha studiato cinema a New York, Lee Jae-han – anche noto come John H. Lee – torna nuovamente sul tema del conflitto coreano, guerra intestina tra le più violente della Guerra Fredda che si protrasse fino al 1953, per mettere in luce questo piccolo episodio che vide protagonista il popolo sudcoreano, e che cambiò le sorti di uno scontro che sembrava già deciso. Come nel precedente 71: Into the Fire, l’attenzione della trama è tutta concentrata sull’eroismo di uomini normali, sul loro dramma individuale e corale, su una retorica di un Sud tiranneggiato e un Nord tiranno.

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operation chromite2Seppur manchi una dimensione di epica magniloquenza, di poderose battaglie campali, di azione tout court, infatti, la poetica di Operation Chromite si inscrive con una certa (prevedibile) coerenza entro un quadro di recupero-racconto-propaganda di una storia identitaria spaccata a metà, da parte di uno dei due poli. È una rappresentazione per un pubblico sudcoreano adattata all’esportazione occidentale mainstream – ed ecco giustificata la presenza di un Liam Neeson in veste di caratterista, con l’azione americana e il post sbarco a Incheon lasciati ai margini, in una sorta di bolla acritica – che smussa la rude atmosfera bellica con altalenanti andirivieni, tra sequenze di truce azione e atmosfere melò. Un’operazione, quella di Lee, che trova nelle semplificazioni ideologiche, nella faziosità narrativa e nello schematismo dei personaggi un limite angusto da oltrepassare, forse imprescindibile passaggio di metabolizzazione di una storia tanto dolorosa quanto poco storica ma anzi drammaticamente attuale. Certo, le intenzioni ci sono e non tardano a mostrarsi, facendo capolino qua e là in qualche sequenza dall’impatto adrenalinico e coinvolgente, eppure lo sguardo di Lee sembra perdersi verso la ricerca di qualcosa di più impalpabile, etereo. Resta da chiedersi se tutta questa tensione estetizzante – nell’ambito di una rappresentazione in cui risulta parecchio evidente l’apporto della computer graphic, come l’uso della color gradation con le sue tinte desaturate – non levighi eccessivamente azione e contenuti, in un tributo mitizzante ma piatto.

Titolo originale: In-cheon sang-ryuk jak-jeon

Regia: John H. Lee

Interpreti: Liam Neeson, Jung-Jae Lee, Beom-su Lee

Distribuzione: Minerva Pictures

Durata: 111′

Origine: Corea del Sud, 2016

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