ORIZZONTE EUROPA

Americana, Nipponica e… europea. La scansione del cartellone di questa 18.ma edizione del Torino Film Festival lavora proficuamente per blocchi continentali, o giù di lì. Un grande festival che si rispetti, del resto, concepisce il suo programma cogliendo le occasioni di visione offerte dal cinema mondiale e trasformandole in pretesti per tessere la trama di uno sguardo sempre nuovo in se stesso, anche quando ritrova il suo passato. E che quello di Torino sia davvero un grande festival lo dimostra anche una sezione "contenitore" come l'Orizzonte Europa, palese pretesto di palinsesto per convogliare risorse di varia natura nel corpo di una kermesse che bada esclusivamente al buon cinema. Produzioni europee, ma non nel segno dello spreco d'identità che troppo spesso presiede ad opere concepite sulle scrivanie dei produttori. Qui la matrice è fortemente identificativa, anche se la ricerca dei selezionatori ha onestamente abolito qualsiasi pretesto e motivazione, adeguandosi alla necessaria virtù di offrire una vetrina privilegiata ad opere indiscutibilmente da mostrare. Anche in questo, del resto, la 18.ma edizione del Torino Film Festival ha trovato la definizione ottimale di un progetto che è andato crescendo nel corso degli anni: alcune delle cose migliori in cartellone quest'anno erano qui e la percentuale di concentrazione era indiscutibilmente più alta rispetto alle passate edizioni.
Tralasciando per brevità il Programma Speciale 15 X 15 abbinato alla sezione – nel quale venivano mostrate le copie restaurate di 15 film prodotti dai 15 stati membri dell'Unione Europea e selezionati da 15 registi di fama internazionale su richiesta di 15 festival europei -, l'Orizzonte Europa 2000 ha proposto, accanto ad alcuni prodotti in assetto dignitosamente leggero, una serie di titoli frutto di un cinema variamente concepito come espressione di personalità forti, identità marcate e perennemente "giovani", in movimento, instabili nella loro definizione in fieri.
La precedenza va data a Occidente di Corso Salani, capolavoro invisibile nella sua assoluta trasparenza, in cui l'autore forse oggi più coscienziale e implicitamente necessario del cinema italiano conferma il rigore dei sentimenti in libertà d'(in)azione che va sempre più infondendo nei suoi film. Dopo Cono Sur e ritrovando la stupenda interprete dell'indispensabile Gli occhi stanchi (la polacca Agnieszka Czekanska), Occidente si mette sulle tracce di Malvina, una ragazza rumena che vive ad Aviano, servendo in un american-pub i soldati americani della base NATO, seguendo un corso da infermiera, cercando di dimenticare un passato che non le piace più ricordare per averlo troppo tradito o forse per esserne troppo stata tradita… Il necessario contrappunto a questa figura fantasmatica che Salani aggredisce con docile ossessione documentativa (il peso della realtà incombe sempre sulle sue immagini) viene da Alberto, un professore d'inglese immancabilmente interpretato dal regista stesso, che s'innamora silenziosamente di lei, la segue a distanza, ne scopre la vita, ne svela il vuoto, la salva dalla perdita totale di sé. Sublime affetto di un cinema che Salani concepisce come atto in trasparenza di vita, incarnato nell'identità del corpo/film col corpo/personaggio sullo sfondo di un set/realtà che duplica le emozioni, le verità, i dolori, le azioni… Occidente è geniale nell'abitare inversamente l'ossessione del suo protagonista, trasformando la sua presenza in un'assenza che salva la realtà, esattamente come il cinema, in un gioco speculare che fantasmaticamente trova il senso e la sostanza nella loro trasparenza, prima e dopo qualsiasi concretezza inutile che la storia, il racconto, l'immagine, lo sguardo possano inanemente offrire al fotogramma.
In questo senso, inversamente geniale appare anche il nuovo film del solito Andrzej Zulawski, La fidélité, anch'esso costruito sull'incoerenza narrativa di un personaggio femminile che non abita nessuna realtà, nessun set, nessuno spazio che non sia quello della stupenda Sophie Marceau. Il suo corpo da bambina statuariamente cresciuta si offre al personaggio di Clélia, una giovane fotografa di successo ingaggiata da un magnate della stampa scandalistica e posta a confronto con Nemo, altro fotografo portato, diversamente da lei, ha mostrare il lato sporco del reale. Naturalmente per Zulawski il plot è un pretesto da esuberare passionalmente: lanciatosi in una performazione del gesto filmico, il film accumula materiale da esporre come pura dinamica emotiva, disperdendosi forse in una seconda parte più didascalica, ma trovando nella passionalità dolente dell'amore fedele della protagonista per un non giovane editore che la crede infedele, l'ombrosa ragione di una macerante e aggressiva idea rappresentativa che pervade l'intero film. Tutto confluisce nel sovrasenso di un processo creativo che incrementa se stesso come escrescenza del senso, da sempre assecondato da Zulawski con folle ragione della quale sempre gli siamo stati grati e gliene siamo ancora.
Avesse aderito all'intemperanza mostrata in precedenza nei suoi film anche l'ancor giovane François Ozon di Gocce d'acqua su pietre roventi (presto sui nostri schermi), l'esito di questo suo terzo lavoro sarebbe stato superiore. Quello che vediamo è invece un utile e discreto esercizio di stile su un testo inedito di Rainer Werner Fassbinder: storia d'amore gay tra un ragazzo e un uomo cinquentenne in cui il solito gioco d'equilibrio tra amore e possesso e libertà e dipendenza tanto caro al regista tedesco trova la giusta dimensione per esplorare l'universo poetico del sottovalutato Ozon. Il quale nel suo nuovo film – il successivo Sous le sable, appena visto al Mifed – conferma la traccia forte di un cinema in crescita del quale sarà bene occuparsi senza pregiudizi e pur motivate antipatie.
Un'estetica deviante presiede poi al nuovo film del georgiano Dito Tsintsadze, Lost Killers, squadernata e paradossale variazione sul tema noir del killer sulle tracce dell'uomo d'affari, ambientata in Germania, a Mannheim, nel milieu degli immigrati clandestini. Stile zingaresco per un noir stralunato, costruito su due personaggi fuori regola, divertenti e snervanti nella loro assurdità, poeticamente sospinti verso un non senso che amplifica lo straniamento di set, razze, generi, prodotto dal regista con inconfondibile tocco georgiano.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative