OSCAR 2002 – Hollywood tra riconciliazione e destabilizzazione

Hollywood ha scelto di premiare la “forma morale” del cinema contro la “forma spettacolare” e i premi ai due attori di colore come migliori interpreti rappresentano forse un piccolo evidente segno di “riconciliazione nazionale”, ma è la perdita di orientamento, la “destabilizzazione” (dei sensi, dei corpi) il tema dominante nel cinema di oggi

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Non hanno mai contato molto dal punto di vista della qualità le decisioni dell’Academy Awards e i suoi patriottici premi Oscar, ma certo hanno sempre sondato il polso dell’America, almeno di quell’America abituata a stare sotto i riflettori, quell’establishment dello show business che determina, con i suoi gusti, le sue paure le sue idiosincrasie, quello che la maggior parte degli umani vedranno al cinema un po’ in tutto il pianeta. Era perciò interessante capire come e quanto la tragedia dell’11 settembre avesse condizionato, se non addirittura “minato”, le scelte dell’industria hollywoodiana. E da questo punto di vista i premi a due attori di colore come migliori interpreti (Denzel Washington e Halle Berry) rappresentano forse un piccolo evidente segno di riconciliazione nazionale, dato che per il miglior attore era dal 1967, anno in cui lo vinse Sidney Poitier (tra l’altro premiato con un Oscar alla carriera quasi a completare quest’omaggio “all black”) che i neri non lo vincevano mentre addirittura con la Berry siamo al primo Oscar in assoluto a un’attrice di colore come migliore protagonista femminile. Ma forse sono solo suggestioni giornalistiche” e davvero i due sono stati premiati per le loro superbe interpretazioni, e probabilmente Hollywood non se l’è sentita di premiare Russell Crowe per la terza volta di seguito…
Ma al di là di queste considerazioni pseudopolitiche quel che conta è che Hollywood ha scelto di premiare la “forma morale” del cinema contro la “forma spettacolare”. Ecco perché i pur ottimi “Il signore degli anelli”, “Moulin Rouge” e “Black Hawk Down” escono sconfitti (soprattutto il primo che partiva da ben 13 Nomination) da questa edizione degli Oscar. Perché, forse, oggi si preferisce un cinema meno evidentemente colonizzatore d’immaginario come quello di Howard, oppure sotto sotto si sono considerati stranieri il “neozelandese” film di Peter Jackson, l’”australiano” film di Luhrman e l’”inglese” film di Ridley Scott…

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Va detto comunque che Ron Howard è un grande cineasta e non certo da oggi, ma da quando, allievo di un certo Roger Corman, impazzava con la sua “pazza Rolls Royce” e/o interpretava film come “Il pistolero” di Don Siegel. Riguardatevi la filmografia di questo cineasta e riscoprirete il piacere di un cinema con una dimensione “neoclassica” assolutamente matura e non omologato allo sguardo oggi dominante oltreoceano. Perché questo va detto: “A beautiful mind” non rappresenta affatto il bruttissimo cinema americano di quest’ultima stagione, è un piccola grande perla che, miracolosamente, è stata premiata al posto di film sopravvalutati e cinematograficamente conservatori di autori imbolsiti e invecchiati male già da diversi anni…
Poi, certo, nessuno di noi con tutto l’amore per Ron Howard si sarebbe mai degnato di dargli il premio per la regia alla presenza, tra i candidati, di David Lynch. Ma quello di Lynch è un cinema “disarmante”, disubbidiente, che sembra ogni volta dissotterrare pezzi del nostro immaginario che vorremmo tenere nascosti, seppelliti sotto le macerie di un vivere quotidiano che sembra sempre più necessitare continue opere di rimozione (sociale, culturale, sentimentale…). E’ chiaro a tutti noi che “Mulholland Drive” è un film “fuori concorso”, ma non perché più bello esteticamente e cinematograficamente, ma perché così dannatamente “umano troppo umano” da apparire proprio di un altro pianeta.
Per il resto si può segnalare la piccola “rivincita” (se così si può dire…) di Moretti nei confronti di Amelie, spudoratamente battuto dal bosniaco e così “metaforico” “No man’s Land”, i premi “tecnici” assegnati a “Il signore degli anelli” (preludio a premi maggiori per il prossimo anno?), mentre andrebbero studiati “teoricamente” i premi al montaggio (un bravo a Pietro Scalia) e al sonoro di “Black Hawk Down”, di Ridley Scott, film che non solo ridisegna le coordinate visive e geografiche del cinema di guerra, ma che reinventa letteralmente l’idea stessa di “suono”, come momento/luogo della perdita, dell’orientamento, del punto di vista, ecc…
Ma, e qui si potrà ragionare meglio prossimamente, se ci pensiamo bene, è proprio la perdita di orientamento, la “destabilizzazione” (dei sensi, dei corpi, ecc…) il tema vincente e dominante nel cinema di oggi (tutto Lynch, il protagonista del film di Howard, i ragazzi sperduti di Scott, per non parlare di film non candidati come “Vanilla Sky”… ma non mancherà occasione per ritornarci su.

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