Oscar 2012: niente di nuovo sul fronte occidentale.

Ben poco alle sorprese lascia l’appena conclusa edizione degli Oscar. L’ammontare di vittorie “rassicuranti” – The Artist, Hugo Cabret, Jean Dujardin, Meryl Streep – lascia intravedere una Hollywood timorosa di osare?

Nonostante l’indubbio merito dei vincitori, la sensazione, a tratti amara, è stata quella di un cinema rivolto al passato più che al presente.

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Tutto secondo copione. Esattamente così è andata. L’articolo sui risultati della notte degli Oscar potrebbe essere stato scritto un mese fa (subito dopo la proclamazione delle nominations) e non si sarebbe dovuta cambiare una virgola. La previsioni – per lo meno per quanto riguarda i premi più rilevanti – sono state tutte rispettate: The Artist è il trionfatore assoluto con ben cinque statuette, tra cui miglior film, regia (Michel Hazanavicius) e miglior attore protagonista (Jean Dujardin). Tra le candidate femminili, un’ulteriore conferma si è avuta con la vincita di Meryl Streep, miglior attrice protagonista per The Iron Lady, di Phyllida Lloyd. Insomma una Hollywood che sembra sempre più – per quanto meritatissime siano, effettivamente, queste vittorie – votata ad una rassicurante quanto noiosa autoreferenzialità.

Lo ricorda Morgan Freeman, in apertura di serata, nel presentare un video celebrativo del cinema “Questo magnifico evento celebra il presente e guarda al glorioso passato”. Ma lo testimoniano anche la scelta stessa del presentatore, il già collaudato Billy Crystal, i continui tributi ai successi di un tempo, i film in lizza per la statuetta (sia The Artist, sia Hugo Cabret sono due omaggi al cinema del passato) e – ancor di più, se vogliamo – i grandi esclusi da questa cerimonia di premiazione. 

Già, perché molto ha fatto discutere il conservatorismo dell’Academy, che ha estromesso attori e pellicole unanimemente apprezzate – ma forse troppo azzardate? – per rifugiarsi dietro ad un muro di rassicuranti garanzie. Tra le nominations mancavano film come Drive, Shame, 50/50, J. Edgar, Young Adult, Super 8, La ragazza con il tatuaggio del drago. Tra gli attori, oltre al puntualmente escluso Leonardo Di Caprio, (J. Edgar), spiccano Ryan Gosling (Drive, Le Idi di Marzo), la nuova star Michael Fassbender (A Dangerous Method, Knockout – Resa dei conti, Shame); Kirsten Dunst (Melancholia), Tilda Swilton (A proposito di Kevin), Charlize Theron (Young Adult), le attrici ignorate. 

Ecco quindi, che la cerimonia di quella che sarebbe dovuta essere, come annunciato, la “celebrazione del cinema del presente e del passato”, ha, a tratti, assunto il sapore di qualcosa di eccessivamente artificioso e funzionalmente costruito, qualcosa di ben confezionato ma non altrettanto genuino. La neutralità della manifestazione è stata leggermente sporcata dal messaggio che questa stessa era intenzionata a dare – un inno alla gloria e alla tradizione di Hollywood – e che si è pesantemente percepito. Niente da biasimare, in questo senso, ad un’industria che in tempi di crisi come questo (si veda anche il recente fallimento di un colosso come la Kodak), probabilmente si sente a tratti mancare il terreno sotto i piedi: ma non è soltanto dal passato che essa deve trarre la sua linfa vitale, (soprattutto quando il riferimento a questo non fa altro che rimarcarne la distanza).

L’“originale” premiato è travestito da “tradizione”, il presente che ha vinto è mascherato da passato: per il cinema “attuale” sembra esserci poco spazio. Senza nulla togliere ai vincitori – ai quali vanno indubbiamente riconosciuti i meriti – la sensazione è stata quella di star assistendo, a momenti, ad una manifestazione autocelebrativa che, con un pizzico di diplomazia e demagogia, ha saputo mettere d’accordo tutti. Ad un cinema necrofilo che ha più voglia di guardare ad un passato rassicurante che all’audacia del presente.

Un’atmosfera costruita e sofisticata che ha spesso reso la cerimonia una parata di nuovi mostri, in cui per “freaks” non si intendono certo i meravigliosi circensi del Cirque du Soleil – la cui brillante performance ha acceso la serata – ma la triste sequenza di “morti viventi”, tra cui spiccava, (in veste di “sposa cadavere”), una Jolie di burtoniana memoria, della cui gamba si è avuto modo di parlare forse più dei film.

 

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