#Oscars2018 – Il melting pot per la miglior regia

Quella di quest’anno è una cinquina eterogenea che racconta una volta di più i radicali cambiamenti intrapresi dall’Academy negli ultimi anni. Una riflessione all’indomani dei DGA Awards

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La vittoria del Directors Guild of America pone definitivamente Guillermo del Toro e il suo The Shape of Water (La forma dell’acqua) come grande favorito alla vittoria finale ai prossimi Academy Award. Per la quarta volta negli ultimi cinque anni un regista messicano potrebbe salire sul palco a ritirare la statuetta per la miglior regia. Del Toro ha molte carte in regola per fare compagnia agli amici Alfonso Cuaròn (Oscar per Gravity nel 2014) e Alejandro G. Inarritu (miglior regista per due anni di seguito con Birdman e The Revenant). Si tratta di un piccolo record che racconta benissimo l’enorme impatto che questi tre cineasti latini – soprannominati dalla stampa statunitense I tre amigos – hanno avuto sull’industria hollywoodiana. Non siamo sicuri si possa parlare in modo compiuto di un movimento cinematografico innovativo, di una new wave capace di condensare una uniformità di stili e di temi, ma di certo è innegabile che ci sia stato un cinema americano prima e dopo l’esplosione di questa scuola messicana. E questo contributo non va attribuito solamente alla personalità dei tre cineasti, ma anche alla qualità visionaria di due formidabili direttori della fotografia come l’imprescindibile Emmanuel Lubezki (Il mistero di Sleepy Hollow, I figli degli uomini, The tree of Life, Gravity, Birdman, The Revenant) e Rodrigo Prieto (La 25ma ora, I segreti di Brokeback Mountain, Lussuria, Silence). Inutile aggiungere che premiare Del Toro – a prescindere dai meriti di un film che a settembre aveva già convinto la giuria del Festival di Venezia – significherebbe dare anche una piccola valenza politica a questo riconoscimento.

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La serata dei Directors Guild ha premiato anche uno degli avversari di Del Toro ai prossimi Academy. L’ afroamericano Jordan Peele ha infatti portato a casa il premio come miglior regista esordiente per Get Out. L’horror politico di Peele non gode di tantissimi estimatori in Italia – complice forse anche una distribuzione frettolosa, avvenuta la scorsa estate – ma in

Jordan_PeeleAmerica è stato un vero e proprio evento e nel rapporto budget/incassi è di gran lunga il film di maggior successo del lotto. A un anno dalla sua uscita in sala, con il film già disponibile in home video, la Universal ha deciso di riportare Get Out nei cinema e lanciare così una campagna promozionale lampo in vista della premiazione del 4 marzo. Anche in questo caso una vittoria sarebbe storica in quanto Peele diventerebbe il primo (!) afroamericano a vincere un Oscar come regista. È un dato che racconta non soltanto di quanto gli Academy abbiano espresso nel corso degli anni visione molto tradizionale (l’ostracismo nei confronti di Spike Lee ai tempi di Fa la cosa giusta e Malcolm X grida ancora vendetta), ma anche, soprattutto, di come tutta l’industria del cinema sia stata spesso avara – soprattutto rispetto a quella musicale – nei confronti dei talenti afroamericani. La polemica e il boicottaggio avvenuto due anni fa con il movimento #OscarsSoWhite hanno portato, almeno per quanto riguarda gli Oscar, a una maggior attenzione nei confronti dei film black. La vittoria di Moonlight dell’anno scorso e le quattro candidature a Get Out (Film, regia, attore, sceneggiatura originale) sembrano suggerire che i tempi sono cambiati.

Persino la nomination a un regista già entrato nel mito per molti cinefili e addetti ai lavori come Christopher Nolan contiene in sé le tracce di una novità. Che ci si creda o meno Dunkirk è infatti la sua prima candidatura in questa categoria – in passato era sempre stato nominato come sceneggiatore – ed è forse il film che gode del più alto numero di fan in giro per il mondo. È anche l’opera più “inglese” e patriottica di Nolan e quella meno scritta – ma non la meno “costruita”. In molti lo considerano il nuovo Stanley Kubrick e farebbero carte false per vederlo un giorno salire sul palco e ritirare la statuetta. Questo per lui non ci sembra l’anno buono. Anche perché se gli Academy Award raccontassero un mondo perfetto allora di Oscar il 47enne Paul Thomas Anderson ne avrebbe dovuti vincere almeno un paio. La sua presenza in cinquina con Phantom Thread (Il filo nascosto) è stata tanto inattesa, quanto meritata. Il suo è indubbiamente il film più elegante e misterioso dell’anno. Lascia tracce a distanza di ore e giorni dalla visione. Ma parliamo chiaramente di un film in un modo o nell’altro elitario. Se dovesse vincere ci troveremmo davanti a un piccolo colpo di scena e a un grande tributo alla storia del cinema.

greta_gerwigSecondo molti critici il quinto nome a contendersi la miglior regia doveva essere Steven Spielberg (The Post) oppure il Martin McDonagh di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Troviamo invece, ma era nelle previsioni, l’attrice Greta Gerwig con il suo secondo film da regista, Lady Bird. Questo racconto di formazione su una liceale californiana, interpretata da Saoirse Ronan, ha raccolto consensi già alla sua presentazione ai festival di Telluride e Toronto, prima quindi che scoppiasse il caso Weinstein e che iniziasse una epocale campagna mediatica contro le molestie femminili. Rimane la sensazione che i movimenti #MeToo e #TimesUp abbiano in parte coccolato il film e contribuito al suo successo. Ma questo fa parte di effetti collaterali che da sempre contraddistinguono la storia dei premi. Se dovesse vincere l’Oscar – sarebbe un verdetto che non escludiamo affatto – Gerwig andrebbe a fare compagnia a Kathryn Bigelow, miglior regista nel 2009 per The Hurt Locker e prima donna a vincere dopo i precedenti tentativi di Lina Wertmuller, Jane Campion e Sofia Coppola.

Un’ultima curiosità. Lo scorso anno evidenziavamo una cinquina di candidati più “giovane” rispetto al passato. Ebbene quest’anno facendo la media anagrafica di Del Toro, Nolan, Anderson, Peele e Gerwig notiamo che l’età si è ulteriormente abbassata a quota 44. Per i registi e per il movimento cinematografico è un dato importante, che comunque indica un ricambio generazionale. Sotto vari punti di vista quella del 2018 è una cinquina interessante ed eterogenea, che racconta bene i radicali cambiamenti intrapresi dall’Academy negli ultimi anni.

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