Ossessione, di Luchino Visconti

Pietra miliare del nostro cinema d’autore che propone un felice equilibrio tra realismo poetico, decadentismo e Neorealismo. Grande alchimia tra i due protagonisti Massimo Girotti e Clara Calamai.

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Neorealismo? Realismo poetico francese? Naturalismo? Noir americano? La letteratura critica sull’opera prima di Luchino Visconti è vastissima e contiene contraddizioni e moltitudini. In realtà in Ossessione confluiscono una serie di temi e sottotrame che rendono il film davvero inclassificabile. Le stesse vicissitudini con la censura (il film venne prima approvato poi censurato e mandato al rogo dal regime fascista infine liberato per la pubblica visione grazie a un negativo salvato dallo stesso regista) riflettono una ambiguità di base che nasce principalmente dal contrasto tra lo sfondo della vicenda (siamo nella bassa padana ferrarese con una forte impronta neorealista) e la complessa interazione tra i personaggi principali che provengono dal realismo poetico francese (L’angelo del male di Jean Renoir, Il porto delle nebbie di Marcel Carné).

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Il vagabondo Gino Costa (Massimo Girotti) arriva nella locanda di proprietà del ricco Giuseppe Bragana (Juan de Landa) e della giovane moglie Giovanna (Clara Calamai). Nasce una relazione adulterina che si trasforma in ossessione passando tragicamente attraverso il delitto e il castigo.  Il sentimento di ossessione non riguarda soltanto il rapporto erotico tra Gino e Giovanna ma si trasmette in maniera virale agli altri personaggi di contorno: lo “spagnolo” (Elio Marcuzzo) in cui è nascosta una pulsione omosessuale; Anita (Dhia Cristiani) la prostituta dal cuore d’oro che si invaghisce di Gino e l’agente di polizia (Vittorio Duse) che è determinato a incastrare i due amanti diabolici.

La novità del film di Visconti si esplica subito nell’incipit con la locomotiva che attraversa i paesaggi del ferrarese (omaggio ai primi fotogrammi de L’angelo del male) e con il primo movimento di macchina dall’alto verso il basso che ci porta dentro la locanda Bragana. Questo movimento dalle pompe di benzina fino all’ingresso di Gino dentro il tunnel della perdizione è il primo segno del passaggio da un cinema propagandistico e calligrafico ad un’arte moderna che mescola sapientemente psicologia e naturalismo. Ed anche il primo incontro tra Gino e Giovanna è un ribaltamento rivoluzionario dallo sguardo maschile a quello femminile: attratto dal canto di “Fiorin fiorello” Gino entra dentro la cucina (lo vediamo sempre di spalle) e chiede da mangiare. Giovanna alza la testa, la riabbassa, e seguiamo il suo sguardo in soggettiva con un movimento di macchina in avanti fino al viso di Massimo Girotti che ci appare la prima volta in tutta la sua bellezza. “A shot that made a star” come John Wayne in Ombre rosse. L’alchimia tra Massimo Girotti e Clara Calamai si dipana sessualmente tra calze di nylon e mani che si cercano nervosamente. Da questo colpo di fulmine inizierà una storia noir ispirata dalla lettura del romanzo Il Postino suona sempre due volte (1934) di James M Cain: Visconti aggiungerà tinte crepuscolari e melodrammatiche sottolineate dalle arie d’opera (Rigoletto e La Traviata di Verdi, Carmen e I pescatori di perle di Bizet).

L’operazione di Visconti è un ibrido che ha anche contaminazioni di western e noir americani sia nella descrizione della campagna ferrarese, sia nella conduzione dell’indagine investigativa che però va scomparendo per lasciare il posto al subconscio dei diversi personaggi. Così il crepuscolare “spagnolo” con la luce di un fiammifero osserva la schiena virile di Gino e lo vorrebbe con sé ad Ancona nella sua vita d’artista on the road; così Giuseppe il marito tradito canta “Di Provenza il mare e il suol…” da La Traviata e sotto gli occhi ha le prove del tradimento (Visconti inquadra i due amanti al tavolo e tiene Giuseppe sullo sfondo ma sempre sulla linea dello sguardo); così Anita guarda la vita attraverso le fessure delle persiane e si rende conto di essere perduta. Il rimorso e il senso di colpa divorano Gino e Giovanna dal momento in cui, liberatisi del terzo incomodo, provano a tornare nella quotidianità: vox populi, vox dei. I due amanti sono crocefissi prima dalla maldicenza popolare, poi dall’intervento del parroco Don Remigio (Michele Riccardini) che ipocritamente chiede l’allontanamento dal paese e infine del sistema repressivo autoritario che con mezzi non proprio leciti si intrufola nel tessuto malato sociale per smascherare i colpevoli. Gino e Giovanna sono topi intrappolati dalle proprie colpe e anche il progetto di una nuova vita è sabotato da un destino beffardo che bussa sempre due volte, immerso nel denso fumo della polvere sollevata da un camion. Pur partendo da un neorealismo di luoghi e situazioni Visconti approda a una parabola poetica che è più decadente che naturalista, partecipando empaticamente al destino dei personaggi con i primi piani ed i tagli di luce della fotografia di Aldo Tonti, con il grigio del cielo di Ancona e le malinconie delle sagre paesane. Ossessione diventa una pietra miliare del nostro cinema perché, nella felice contaminazione di diverse correnti, apre la strada a un cinema moderno che alla verità di emozioni e situazioni accoppia il rigore della messa in scena.

 

Regia: Luchino Visconti
Interpreti: Massimo Girotti, Clara Calamai, Juan de Landa, Dhia Cristiani, Elio Marcuzzo, Vittorio Duse
Durata: 135′
Origine: Italia, 1943
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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