Ouvertures, di Olivier Marboeuf e Louis Henderson

Un documentario stratificato, nel quale la traduzione di un testo di Glissant diventa il pretesto per una riflessione poetica sul concetto stesso di identità. In TFFDOC/Internazionale

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C’è un momento, in Ouvertures, in cui una luna piena, solitaria nel buio della notte atlantica di Haiti, arriva a toccarsi, grazie ad una dissolvenza, con il sole appena sorto. La luna, agli haitiani di inizio ‘800, apparteneva più del sole. Lei, insieme alla notte, era una dei pochi alleati di quel popolo, martoriato dai colonizzatori francesi. E visto che il giorno era dei dominatori, in quel buio mitigato dalla luce lunare, i rivoluzionari avvelenavano i fiumi per colpire i loro schiavisti. Così che, se loro avevano imprigionato il loro sole nella fredda e lontana Fort-de-Joux, potesse colpirli una notte senza luna.

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In quella cella fu, infatti, tenuto prigioniero fino alla morte Toussaint Louverture, capo della rivoluzione haitiana, deportato su volere di Napoleone per aver cercato di applicare anche alla sua terra i principi di libertà, fraternità e uguaglianza. E proprio del rivoluzionario cercano di riappropriarsi i protagonisti haitiani di Ouvertures. Lo fanno, oggi, attraverso la traduzione in creolo di un’opera che parla di lui, scritta in francese dallo scrittore martinicano Èdouard Glissant nel 1961.

La traduzione letterale, però, non è sufficiente. Serve vivere il testo per carpirne l’essenza, serve essere colti nel suo incedere a spirale che finisce per avvicinare passato e presente. E nel mettere in scena questa dualità, questo tentativo di riappropriazione culturale, anche la regia di Olivier Marboeuf e Louis Henderson imita questo movimento. La neve posata su quella che fu la prigione di Louverture convive con le parole del rivoluzionario incarcerato e le percussioni haitiane, l’opera di Monteverdi incontra le strade assolate dell’isola caraibica.

Eppure, la distanza percorsa seguendo una spirale ci fa sembrare il suo centro più lontano di quanto sia effettivamente. Un centro che Ouvertures trova nel vuoto e nel buio di due grotte, l’una francese e l’altra haitiana. Come a ricordarci che solo una volta compreso di appartenere tutti a quell’oscuro nulla, ognuno potrà trovare la sua particolare apertura verso la luce.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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