Paradise Beach – Dentro l’incubo, di Jaume Collet-Serra

Tutto costruito attorno alla statuaria Blake Lively, il survival-movie di Collet-serra sfoggia un perfetto dinamismo visivo e un ritmo serratissimo, capaci di mantenere lo sguardo sempre in tensione

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Una spiaggia paradisiaca e segreta, il suo nome rimarrà un mistero per tutta la durata del film, dove una tavola da surf diventa il mezzo per l’elaborazione del lutto. La madre di Nancy, una studentessa di medicina confusa dal dolore della perdita che ha il corpo a dir poco radioso, anche quando ferito, della statuaria Blake Lively, qui alle prese con un bikini da far girare la testa, è da poco venuta a mancare, come verremo ben presto sapere dai vari messaggi e videochiamate che, nella confezione sfrontatamente cool di questo Paradise Beach – Dentro l’incubo, continuano a mostrare sullo schermo le attività intraprese da Nancy sul suo smartphone. Ci sono, poi, le poche battute scambiate in mezzo alle onde, tra le varie cavalcate mozzafiato riprese da manuale di videoclip, con due surfisti messicani, un gabbiano che viene eletto dalla protagonista come compagno di sventure e, ovviamente, l’adrenalinica battaglia per la sopravvivenza, tutta in solitario o quasi, ingaggiata da Nancy, a soli duecento metri dalla spiaggia, contro un immenso e terrificante squalo bianco.
the shallowsDel resto, la trama è un appiglio sottilissimo che funziona unicamente come mezzo accessorio impiegato per far girare il meccanismo ad alta tensione inseguito da questo survival movie. Siamo lontano anni luce, insomma, da quel “film filosofico sull’uomo contemporaneo, sull’America di oggi, sul cinema americano di oggi, sul rapporto uomo-natura” che è il capolavoro di J.C Chandor All is lost. Così come Jaume Collet-Serra se ne infischia della lezione spielberghiana de Lo Squalo e, dunque, della “potenza di un fuori-campo, dell’allusione a un visibile che sfugge al dominio della tecnica per riappropriarsi di una dimensione emotivamente umana”. E se anche le premesse potevano far pensare ad un tentativo di riflessione sulla deriva interiore messa in moto dalla perdita vissuta da Nancy, in questo suo Paradise Beach – Dentro l’incubo Jaume Collet-Serra rinuncia del tutto a quei “labirinti esistenziali” che, a partire dal corpo di Liam Neeson, avevano preso forma in Unknown, Non-Stop e, soprattutto, in Run All Night, per inseguire invece, in un’involontaria consonanza con il titolo originale, The Shallows, un cinema di acque basse, tutto di superficie, realizzato, bisogna comunque dire, non senza mestiere. Certo, gli albori horror della carriera Collet-Serra ci avevano fatto ben sperare in un po’ di più di scene gore, sempre benvenute, soprattutto durante le noie estive (dobbiamo invece accontentarci di una sutura improvvisata e un scorcio di salvataggio fallito), ma Paradise Beach – Dentro l’incubo riesce a compensare il suo scarso interesse per le possibilità splatter con un perfetto dinamismo visivo e un ritmo serratissimo, capaci di mantenere lo sguardo sempre in tensione. Allora, se anche non riusciamo a smettere di chiederci quale sia il bisogno del furioso girare in tondo dello squalo che imprigiona Blake Lively nel terreno angusto di uno scoglio e, poi, in equilibrio precario su una boa, al film Jaume Collet-Serra va quantomeno riconosciuto il merito di non avere alcuna altra ambizione se non quella, ampiamente riuscita, del puro intrattenimento.

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Titolo originale: The Shallows
Regia: Jaume Collet-Serra
Interpreti: Blake Lively, Óscar Jaenada, Brett Cullen, Sedona Legge
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 86’
Origine: USA, 2016

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