Paradise Is Burning, di Mika Gustafson
Il lungometraggio d’esordio della regista svedese Mika Gustafson, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 80, è un’opera che colpisce per la sua energia frenetica e l’intensità emotiva. In sala
Vincitore del Premio Orizzonti per la Miglior Regia, Paradise Is Burning è stata una delle più piacevoli sorprese alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia. L’opera prima di Mika Gustafson prende vita tra le strade di un quartiere popolare svedese. La videocamera della regista, che abbiamo incontrato a Venezia, segue passo dopo passo, senza mai perderle di vista, le vicende di tre sorelle: Laura (Bianca Delbravo), Mira (Dilvin Asaad) e Steffi (Safira Mossberg). Le tre ragazzine, abbandonate dai genitori e costrette a cavarsela da sole, trascorrono la loro esistenza, libere dalle restrizioni degli adulti, selvagge e spensierate, passando le giornate estive ad intrufolarsi nelle villette lasciate libere dai più ricchi partiti per le vacanze. Quando, però, servizi sociali chiedono loro poter di incontrare tutta la famiglia, le ragazze capiscono che devono trovar qualcuno che finga di essere la loro madre per evitare di finire in affidamento ed essere separate l’una dalle altre.
L’atmosfera libera, spensierata ed infine caotica del racconto costruito da Mika Gustafson e Alexander Öhrstrand si mescola ad una mise-en-scène altrettanto anarchica, caratterizzata da una regia che viaggia ad una velocità frenetica, senza mai avere intenzione di fermarsi un istante.
In questo senso, la ribellione delle protagoniste diventa l’unico catalizzatore possibile per la crescita personale di ciascuna di loro. La crescita, supportata dal caos e dalla ribellione declinate al femminile che scardinano lo status quo delle cose, diventa il tema centrale che attraversa tutta la pellicola. Il cinema, così come le persone, sembra dirci la regista, hanno bisogno di caos e ribellione per andare avanti. Non esiste progresso senza confusione e un sistematico ribaltamento dei ruoli sociali e culturali.
Gustafson combina una regia di stampo documentaristico con alcune incursioni in una dimensione onirica, astratta, dove spazio e tempo perdono d’importanza e lo spettatore può immergersi completamente nell’intimità e nella mente delle protagoniste. Soprattutto in queste sequenze diventano chiare le numerose influenze artistiche di Gustafson, citate più volte dalla regista stessa: dall’approccio realistico di Andrea Arnold alla vivacità stilistica di Xavier Dolan, passando per l’imprinting musicale psichedelico dei Pink Floyd.
Per circa 110 minuti si assiste al tentativo, quasi sempre andato a buon fine, di catturare la sfaccettata esistenza di tre ragazzine che stanno crescendo senza un porto sicuro, senza una casa che riconoscono come loro. Ma il concetto di “casa”, sembra dirci Gustafson, non rappresenta necessariamente un luogo fisico, quanto piuttosto le persone con cui condividiamo la nostra vita. Le sorelle, nonostante le loro imperfezioni, rappresentano, ciascuna per l’altra, la forza e l’amore che permette loro di sopravvivere e crescere. Ida Engvoll, Mitja Siren, Marta Oldenburg, Andrea Edwards
Titolo originale: Paradiset Brinner
Regia: Mika Gustafson
Interpreti: Bianca Delbravo, Dilvin Asaad, Safira Mossberg, Ida Engvoll, Mitja Siren, Marta Oldenburg
Distribuzione: Fandango
Durata: 108’
Origine: Svezia, Italia, Danimarca, Finlandia, 2023