"Paris-Manhattan", di Sophie Lellouche

alice taglioni e patrick bruel in paris-manhattan

L'opera prima della regista francese non è debitrice dell'opera omnia di Woody Allen ma è una storia indipendente. Trae ispirazione dalla devozione al mito per poi parlare, semplicemente e ostinatamente, di sé. E se perde il suo fulcro nel trattino che unisce-disgiunge i due poli, porta impressi i segni (e gli inevitabili difetti) di una disarmante, coraggiosa sincerità.

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alice taglioni e patrick bruel in paris-manhattan

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«Rita mi ha detto che c’è un’altra donna. È vero?»

«Hai presente Kirsten Dunst

«Certo. È l’attrice che ha fatto Marie Antoinette».

«Non potevamo che essere amici noi due. Tutti gli altri avrebbero detto: la fidanzata di Spider-Man»

 

(da L’uomo che amava Kirsten Dunst, di Alessandro Iovinelli)

 

 

L’uomo che amava Kirsten Dunst, come la donna che ama Woody Allen, non contempla la diversità come fattore associativo. Il sintomo di un disturbo ossessivo-compulsivo è in verità il trait d’union della più varia umanità: sigillarsi l’esistenza contro ogni infiltrazione reale – e quindi diseguale – è una patologia conclamata dell’adolescenza, che per Alice si protrae in uno scudo portato con sprezzo autolesionista nella vita adulta. Lei, che somiglia a Mariel Hemingway nella seduttiva incoscienza della sua svogliata bellezza, è un’Amelie Poulain che non si concede neppure la vertigine fanciullesca di un palese travestimento. Lei, semplicemente e ostinatamente, sta. Dietro al banco della farmacia di famiglia regala ai clienti visioni omeopatiche, tra le mura della sua stanza interroga il poster del mentore, dispensatore di citazioni più incisive sullo schermo che nella guerra fredda delle sue giornate. Il padre prova a maritarla elargendo biglietti da visita come caramelle, ma Alice vuole lo specchio, la favola, l’orchestra che discretamente suoni Cole Porter mentre lei vive il film. Sophie Lellouche, all’opera prima, non è debitrice dell’opera omnia di Woody Allen. Perché Paris-Manhattan è una storia indipendente. Trae ispirazione dalla devozione al mito per poi parlare, semplicemente e ostinatamente, di sé. La tangente tra la Torre Eiffel e la Città che non dorme mai è Alice Taglioni, che per dormire non conta le pecore. A differenza di Gene Wilder in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere), lei non osa neppure pensare a una relazione con il pacioso, teneramente realista Patrick Bruel. Lui non ha mai visto un film di Allen e per campare impianta antifurto, eppure vorrebbe davvero lasciarla entrare. Da osservatori fedeli delle vite degli altri e spettatori abituali delle proprie paralisi emotive, riconosciamo il trasporto sentimentale di quest’opera piccola piccola, più diaristica che ambiziosa. Che cita sì, ma soprattutto circumnaviga con leggerezza (e qualche iniezione di sarcasmo) i pesi che ci tengono coi piedi mestamente ancorati a terra e la testa intrisa di vane vaghe fantasie. Mentre le possibilità scorrono come acqua sotto ponti panoramici. Paris-Manhattan perde il suo fulcro nel trattino che unisce-disgiunge i due poli, ma porta impressi i segni (e gli inevitabili difetti) di una disarmante, coraggiosa sincerità.

 

Titolo originale: id.

Regia: Sophie Lellouche

Interpreti: Alice Taglioni, Patrick Bruel, Marine Delterme, Michel Aumont, Louis-Do de Lencquesaing
Distribuzione: Archibald
Durata: 77’
Origine: Francia, 2012
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