Passaggi d’Autore 2020. Tre film per raccontare la periferia italiana

Le Mosche di Edgardo Pistone, J’Ador di Simone Bozzelli e Pipinara di Ludovico Di Martino in Focus Italia alla 16ª edizione online di Passaggi D’Autore: Intrecci Mediterranei

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Lo scorso 3 dicembre è partita per via streaming la 16ª edizione di Passaggi D’Autore: Intrecci Mediterranei. Tra le opere presenti troviamo una corposa selezione di cortometraggi e mediometraggi provenienti da Paesi del Mediterraneo. L’Italia si difende bene proponendo dei lavori che si inseriscono nel circuito sempre vivo del periferia movie: da Napoli a Roma.

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Si parte con Le Mosche, il cortometraggio di Edgardo Pistone presentato per il concorso della Settimana della Critica di Venezia77. Pistone ha acquisito una certa esperienza come aiuto regista sul set di Selfie di Agostino Ferrante. Non a caso il suo cortometraggio rimane all’interno della sfera del contesto partenopeo ponendo attenzione sulle azioni quotidiane di un gruppo di ragazzini in piena adolescenza. Si tratta di un racconto di formazione di giovani alla deriva, contemporanei ragazzi di vita di pasoliniana memoria. Vagano per la stazione di Napoli ridendo e scherzando per provare a riempire il loro vuoto esistenziale. Si prendono in giro a vicenda e immaginano le loro future esperienze sessuali, ma queste pause ironiche sono intervallate da momenti di ponderazione che fanno fuoriuscire riflessioni sullo stato della loro vita. Risulta d’impatto proprio la sequenza che apre il cortometraggio. I quattro giovani si rivolgono verso il mare e provano a impostare dei pensieri su un futuro che non conoscono e sembra non vogliano conoscere. A voler trovare un punto di contatto è alquanto curioso come proprio il paesaggio marittimo abbia la funzione di essere una valvola di sfogo per i pensieri che assillano questi giovani. Ma non si può rimanere per sempre nella propria comfort zone, il momento della maturità prima o poi arriva per tutti. La partecipazione dell’attore Salvatore Striano nei panni di Cirobello, un umile lavoratore analfabeta preso in giro dalla comunità, è il momento in cui la comitiva di ragazzi farà i conti con la vita vera.

L’altro titolo preso dall’ultima edizione della Settimana della Critica è J’Ador del regista Simone Bozzelli. Questa volta ci spostiamo nella sporca e violenta periferia romana. Siamo in un campetto sportivo e al giovane Claudio viene imposto da un gruppo di bulletti di farsi scrivere sulla fronte la parola “J’Ador” perché odora di femmina e non si può definire un uomo. Ma Claudio non ha voglia di fuggire, anzi è spinto da una motivazione perversa, vuole entrare a far parte del branco. In 16 minuti Bozzelli adotta un approccio originale alla tematica del bullismo giovanile. Sposta il punto di vista su una prospettiva sociale e ideologica mettendo al centro della narrazione tendenze purtroppo sempre attuali di matrice neo-fascista. Il capobranco Lauro accetterà la richiesta di Claudio di entrare nel branco solo se il ragazzo distribuirà volantini inerenti a questa nuova organizzazione fascista. La modalità di narrazione cambia registro rispetto al contesto quasi poetico de Le Mosche, qui è il realismo a farla da padrone. I neo-fascisti si comportano da tali ragionando in termini patriarcali ed effettuando azioni razziste dove il potere della forza, della violenza verso i più deboli e sulle minoranze, sono i punti cardine del loro esemplare di società. La regia è prevalentemente giocata su una camera a mano in perenne movimento. Non è uno sguardo che si estranea dalla narrazione, anzi ne è coinvolto totalmente come un personaggio attivo della vicenda. Favagrossa, con una certa maturità stilistica, ci invita a riflettere sulla mancanza di educazione culturale e sulle conseguenze ideologiche che essa comporta nei pensieri vulnerabili di una grossa fetta di giovani.

Prima del suo recentissimo film Netflix dal titolo La Belva, Ludovico Di Martino nel 2017 concluse i lavori per il cortometraggio Pipinara, che chiude il cerchio di questa odissea giovanile nel violento mondo delle periferie italiane. Un gruppo di ragazzi vive nella miseria e nella povertà. Si organizzano per mangiare in campi Rom compiendo atti criminali come furti e omicidi per ottenere un piatto di pasta da consumare al volo. Anche in quest’opera cambia il modo di raccontare la breve vicenda. Siamo su un piano che può ricordare una fiaba se osserviamo le modalità con cui viene usata la luce riflessa sul corpo degli attori e i colori accesi e pastosi che illuminano le scene. Coerentemente a questo criterio visivo il regista ci racconta il controcampo di quella notte del 2 novembre 1975 dove il poeta Pier Paolo Pasolini, in una spiaggia del lido di Ostia, trovò la morte ucciso da quei ragazzi di strada che tanto adorava e osservava. A Di Martino interessa raccontare le ore precedenti con un appiglio magico e folkloristico. È poco interessato a inserire elementi seriosi escludendo, giocoforza, il tragico finale. Ma anche considerando il finale drammatico che ci rivela chi era l’uomo ucciso in quella spiaggia, sono sempre i ragazzi i veri protagonisti del cortometraggio. Un racconto che parte da uno dei fatti di cronaca più discussi della storia d’Italia per arrivare a immaginare cosa accadde nelle ore precedenti all’assassinio del grande intellettuale.

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