Paul Weller: l’eterno Changingman
Il Modfather al suo debutto cinematografico nel nuovo film di Steve McQueen, Blitz, dopo una carriera lunga quasi 50 in continua mutazione artistica
È stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Alice nella città, Blitz, il nuovo film di Steve McQueen. Il regista e sceneggiatore britannico continua la sua ricostruzione storica in prospettiva black dopo 12 anni schiavo e la serie Small Axe, raccontando il bombardamento di Londra durante la Seconda Guerra Mondiale e il viaggio di ritorno verso casa del piccolo George, dopo essere stato mandato in campagna dalla madre Rita per scampare alle bombe naziste.
Elliott Heffernan, che interpreta il giovane protagonista George, non è il solo a debuttare sullo schermo. A dare il volto al nonno è Paul Weller. Istituzione nazionale, portavoce di una generazione, icona musicale e di stile, personalità artistica mutevole come lo sono i suoi changing moods, Weller ha attraversato con la sua carriera sei decenni di musica, mettendo il punto in ogni decade: dal fervore punk della Londra del ‘77 con i Jam, alle sperimentazioni pop-soul del gruppo progetto The Style Council, fino ad arrivare alla carriera solista che conta 17 album pubblicati, l’ultimo, 66, uscito a maggio di quest’anno per il suo 66° compleanno.
Non prima esperienza cinematografica per il Modfather che aveva partecipato in veste di compositore a I segreti degli uomini di Arnaud Desplechin e Jawbone di Thomas Q. Napper, ma prima prova attoriale per Weller che conferma la sua irrequietezza artistica, cifra di un uomo che probabilmente non si è mai voluto accontentare dell’ovvio, del già acquisito, come se sciogliere i Jam nel loro periodo di massimo successo avesse avuto un significato altro, più profondo, riferibile a una condizione esistenziale o a un atto politico. Quindi il cambiamento come atto di sopravvivenza ma rimanendo fedele alla propria visione artistica e politica. Diretto, schietto, senza slogan, solo il voler concretizzare tutto in musica e parole. Forse diventare portavoce di una generazione, Weller neanche lo voleva, ma si è ritrovato nel ruolo suo malgrado, solamente per il fatto di saper interpretare quella generazione rabbiosa, figlia dei reduci di guerra e che ha vissuto in piena era Thatcher.
Nato a Woking, nel Surrey, da John, tassista, e Ann, donna delle pulizie, il padre sarebbe diventato il suo manager, la genesi musicale di Paul Weller inizia nei club degli operai, da qui la sua formazione politica di sinistra, per poi formare con Bruce Foxton al basso e Rick Buckler alla batteria i Jam, gruppo cardine della scena punk londinese. Weller, neanche ventenne, è leader assoluto, chitarrista e voce principale. La band fa proprio un revival mod anni 60, presentandosi sul palco in completo nero, camicia bianca, cravatta e il taglio di capelli curato. I riferimenti principali sono i Kinks, gli Who, gli Small Faces e, soprattutto nell’ultimo periodo, l’R&B americano il sound della Motown ma il tutto buttato fuori con la rabbia del punk. I testi hanno una consapevolezza sociale, sono politici, evocano scenari urbani in cui schiere di ragazzi si rivedono. Così, un album dopo l’altro, a cominciare dall’esordio In The City (1977) fino a The Gift (1982) in cui è contenuto il brano Town Called Malice che debutta al numero uno della classifica singoli in UK. I Jam sono all’apice della loro popolarità in patria, ma Weller con una mossa inaspettata, che molti fan non gli perdoneranno mai, decide di sciogliere il gruppo e mettere fine a quella che finora era stata una parabola punk.
Weller è ormai totalmente preso dalle sonorità soul e jazz, da un immaginario da cinema francese e da un concetto di evoluzione del mod revival. Così insieme a Mick Talbot, ex tastierista dei Dexys Midnight Runners, fonda gli Style Council con cui riesce a dare corpo a tutte le sperimentazioni sonore che tiene dentro creando picchi di pop raffinato ma non dimenticando la scrittura politica, proprio durante l’amministrazione Thatcher. Da Café Bleu (1984) e il successivo Our Favourite Shop (1985), Weller con il suo nuovo gruppo riesce a inserirsi nuovamente nella top ten dei singoli, con brani come You’re the Best Thing e l’emblematico My ever changing moods, confermandosi un abile autore e compositore sia commerciale che sperimentale. La sperimentazione ha le sue conseguenze e l’ultimo album degli Style Council Modernism: A New Decade (1989) viene rifiutato dalla Poydor, facendo capire a Weller che la band è arrivata al capolinea. Gli Style Council durano poco meno di un decennio con un epilogo triste ma rivelatore.
Weller, finito l’avventura con gli Style Council, si trova in un periodo della sua carriera assai delicato, non avendo più un’etichetta e con l’intento di volersi imporre la carriera da solista cerca in tutti modi di risorgere come artista. Non passerà molto e da vero Changingman qual è, inizia la sua fase più florida a livello autoriale imponendosi a tutti gli effetti come istituzione musicale inglese. Grandi album come Wild Wood (1993) e il fortunatissimo, tanto da rimanere quasi un anno nella top ten inglese, Stanley Road (1995) si susseguono, e la produzione welleriana non si arresta, anzi continua per tutti gli anni a seguire: il bellissimo live album Days of Speed (2001), il ritorno a un’attitudine quasi punk con As is now (2005), il prorompente A Kind Revolution (2017), fino ad arrivare a maggio di quest’anno in cui un sessantaseienne Paul Weller festeggia con l’uscita di un nuovo album, 66, in cui sembra abbia ancora molto da dire.