Pelé, di Jeff Zimbalist, Michael Zimbalist

La leggenda del calcio e la nascita del mito: le due anime dominanti del film. È la storia soprattutto di un piccolo senza scarpe, come tanti bambini carioca

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La leggenda del calcio e la nascita del mito. Sono queste le due anime dominanti del film. Pelè in realtà è il soprannome ricevuto da bambino da un gruppo di figli di papà, anch’essi calciatori, tra i quali figurava un immaginario Altafini (immaginario, in quanto i due in realtà non si sono mai affrontati). Pelè viene da Pilè, ex portire brasiliano, al quale il piccolo Dico era affezionato.I due fratelli documentaristi e autori televisivi già nel 2013 hanno diretto una vicenda legata al calcio: The Two Escobars, protagonisti due giocatori della nazionale colombiana, Andrés, il capitano della squadra e il giocatore con maggiore talento, e Pablo, il famoso barone della droga, pioniere del fenomeno di “Narco- soccer”. Quando Andrés segna l’autogol che elimina la sua nazionale nel mondiale del 1994, la situazione nel Paese inizia a precipitare. Il giocatore infatti, viene ucciso dopo dieci giorni, all’uscita di un ristorante. Dopo quindi una tragico fatto di cronaca, girano non propriamente la storia di uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, vincitore di 3 coppe del mondo, di scudetti e coppe intercontinentali con il Santos, chiudendo la carriera con una media di quasi un goal a partita, ma è la storia soprattutto di un piccolo senza scarpe, come tanti bambini carioca, capace di fare faville anche con i frutti degli alberi e di meravigliare i suoi avversari.

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Dopo la disfatta del 1950, in cui il Brasile perse in casa propria la finale mondiale contro i rivali e “nemici” uruguaiani, il Paese cadde in una profonda depressione e Dico promise al padre, ex calciatore, di vendicare quella cocente sconfitta. Da quel momento nasce il mito della ginga (madre della capoeira) applicata al calcio, venuto su da umili origini (la madre faceva le pulizie nelle case dei facoltosi e il padre sturava i bagni di un ospedale) e formatosi per la strada a piedi nudi, con negli occhi lo spirito del combattente.Appena diciassettenne regala al suo Paese la coppia più ambita, per la prima volta, e il Brasile riscopre la felicità di giocare a calcio, non rinnegando le proprie attitudini allo spettacolo e svincolandosi dalle gabbie dell’oppressivo tatticismo europeo. Non è certamente un’opera memorabile che, come tanti altri tentativi di rianimare leggende sportive, si perde in ricostruzioni biografiche romanzate e soprattutto banalizzanti, alla ricerca dell’effetto nostalgico e sentimentalista. Solo la prima parte sembra essere particolarmente ispirata, a discapito della seconda, dove bisognava raccontare per immagini la vita sul campo di gioco e quindi bisognava misurarsi con un certo sguardo “in movimento”. Proprio nella prima parte, quella delle favelas, riecheggia, ma solo per pochi attimi, il cosiddetto peladao, campionato amatoriale brasiliano senza fuorigioco, dove è possibile incrociare, abbattendo definitivamente i muri tra vita e sogno, gli eroi picareschi del calcio, le magiche visioni bambinesche, i prodigi dell’immaginario privato con la storia vera e sofferta di un continente. In fondo, se neanche quest’opera può definitivamente rispondere alla domanda che tutti si pongono, se è meglio Pelè o Maradona sul campo, almeno al cinema non resta alcun dubbio. Marco Risi, con Maradona – la mano de Dios, del 2007, è un’altra cosa…

Titolo originale: Pelé: Birth of a Legend
Regia: Jeff Zimbalist, Michael Zimbalist
Interpreti: Kevin de Paula, Leonardo Lima Carvalho, Diego Boneta, Vincent D’Onofrio, Rodrigo Santoro
Distribuzione: M2 Pictures
Durata: 107’
Origine: Usa 2016

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