Pequeña flor, di Santiago Mitre

Un originale elogio della routine come deriva sanificatrice di ogni male del vivere. Sa mantenere sempre alto il tono generale senza mai tradire le attese del pubblico. Fuori Concorso

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Dopo il nero/rosa di La piedad di Eduardo Casanova e in attesa del lovercraftiano Venus di Jaume Balagueró, dalla Spagna un’altra incursione nella quotidianità che degenera nel nero colore di una immaginazione senza freni. Presentato Fuori Concorso al 40° Festival di Torino, Pequeña flor, il film dell’argentino Santiago Mitre, ha tutti i numeri per ottenere un successo di pubblico per i suoi indubbi meriti e, va detto, anche in un panorama nel quale latita il senso dell’umorismo nero elegante e convincente come accade in questo piccolo fiore del quale si gustano l’odore e le fattezze.
José, un anonimo disegnatore di fumetti, innamoratissimo di Lucie, la giovane moglie che ricambia in complicità e profondo amore, un giorno perde il lavoro. Per fortuna della giovane coppia argentina, ma trapiantata in Spagna, è lei che ne trova uno. José sarà costretto a rimanere a casa a badare alla neonata figlia. Conosce un vicino di casa innamorato della bella vita, donne, cucina, eleganza e del jazz. Un incontrollabile istinto omicida spinge José ad uccidere il suo nuovo amico. Ma il giorno dopo lo rivede e continuerà ad ucciderlo ad ogni incontro, ogni giovedì in una spirale dentro la quale sembra anche compromettere il suo profondo rapporto con la moglie.

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Scritto con Mariano Llinàs e tratto dal romanzo dell’argentino Iosi Havilo, Pequeña flor è una commedia che sa raccontare quel segreto timore per la devianza che alligna dentro una routinaria vita da travet. Qui è José il travet, che sostituisce il lavoro perduto con la dedizione alle cure paterne e il lavoro, mentre la sua mente fantastica omicidi e tradimenti della moglie. Molto meno superficiale di quanto possa apparire, il film di Mitre sembra guardare la vita da dietro un vetro opaco che lentamente si schiarisce lasciando intravedere una verità inattesa. Si direbbe quindi che il sottotitolo del film potrebbe essere “elogio della routine” come deriva sanificatrice di ogni male del vivere. I toni divertenti fanno da contrappeso alla sanguinaria immaginazione di José e in un incalzante susseguirsi di eventi tutti secondo un registro di trucida immaginazione, ma stemperati dai toni del racconto, Mitre e la scrittura di base sanno mantenere sempre alto il tono generale del film senza mai tradire le attese del pubblico. Sotto sotto inquietante pur nella sua confezione elegante e brillante, la commedia di Mitre, questo piccolo fiore, potrebbe sbocciare nelle sale, rivitalizzando un panorama di già viste commedie, qualora un distributore attento volesse puntare su questi personaggi inusuali, tra i quali spicca il dandy vittima dei vari omicidi, elegantone e musicofilo, oltre che raffinato gastronomo, ma solo e dimenticato da tutti, se non fosse per José del quale diventa amico oltre che più volte vittima dei suoi sogni assassini.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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